Nuove speranze contro l’epatite

Crescono le speranze di individuare un’efficace terapia contro le patologie croniche di tipo B e C. Gli epatologi di tutto il mondo hanno presentato, nei recenti congressi sull’argomento come quello tenutosi a Milano questa primavera, dati incoraggianti sulla sperimentazione di nuovi farmaci in grado di curare queste malattie infettive, che se non adeguatamente trattate possono provocare seri danni al fegato. I tempi di applicazione non saranno brevi, ma si può ben sperare. E anche la messa a punto di un vaccino per l’epatite di tipo C non sembra più un miraggio, visto che entro i prossimi due anni un preparato studiato dai medici italiani all’Università la Sapienza di Roma e a Milano potrà essere sperimentato sull’uomo.

Fino a oggi la cura per l’epatite B si è basata sull’uso dell’interferone, un farmaco iniettabile in grado di aumentare le difese immunitarie e quindi di combattere il virus in modo diretto. Nel 90-95 per cento dei casi la guarigione è completa. Negli altri l’epatite evolve nella forma cronica: il virus rimane nell’organismo e può danneggiare il fegato o rendere il paziente un portatore sano, che non presenta cioè disturbi ma può contagiare gli altri. Purtroppo, la percentuale dei malati trattati con l’interferone e guariti dall’epatite cronica non è alta: solo il 40 per cento circa. Oltretutto solo i soggetti che avevano contratto un virus di tipo non mutageno (detto “selvaggio”) guariscono del tutto, mentre la percentuale di guarigione di chi è affetto dal virus denominato “mediterraneo” (una variante diffusa in Italia e particolarmente resistente alla terapia con interferone) è molto minore.

Al vaglio degli esperti ci sono però delle novità farmacologiche per il trattamento dell’epatite B. Si tratta di due principi antivirali, il famciclovir e la lamivudina, in grado di debellare il virus senza presentare gli effetti collaterali dell’interferone – derivanti dalla somministrazione del farmaco in dosi abbastanza elevate per almeno sei mesi – e che possono essere assunti per via orale.

Per l’epatite C, che evolve nella forma cronica nel 70 per cento dei casi, si sta sperimentando invece un nuovo tipo di interferone da utilizzare una volta alla settimana o in dosi quotidiane più elevate in modo da attaccare il virus con forza. In un futuro, non ancora prossimo però dato che siamo ancora alla sperimentazione sugli animali, si potranno utilizzare dei nuovi farmaci a base di molecole che impediscono al virus di produrre alcune sostanze necessarie alla sua riproduzione.

La vera speranza di prevenire l’epatite B e C sarebbe comunque nella messa a punto di un vaccino. Ma vi sono parecchie difficoltà legate alla capacità del virus di trasformarsi continuamente. In Italia si sta tentando con un preparato che sembra possa dare risultati promettenti. I ricercatori di Roma e Milano hanno osservato che i malati di epatite C, completamente guariti dalla fase acuta, producono anticorpi completamente diversi da quelli affetti da malattia cronica. Così hanno pensato di isolare la parte di virus che da vita alla formazione di questi anticorpi protettivi per l’organismo. Attualmente questo tipo di vaccino è stato sperimentato, con risultati positivi, sugli scimpanzé e se ne sarà confermata la sua validità la sperimentazione potrà iniziare anche sull’uomo. Ma serviranno ancora un paio di anni.

Così, l’informazione e la prevenzione rimangono tra le armi più potenti contro l’epatite. Infatti, nonostante la possibilità di contrarre l’infezione si sia notevolmente ridotta grazie alla crescente diffusione di notizie sulle norme igieniche per evitare il contagio, il problema è destinato a diventare sempre più importante nei prossimi anni. Secondo gli esperti esiste infatti una quantità di persone – difficilmente misurabile – che si sono infettate tra gli anni Settanta e Ottanta e che ancora non si sono accorti di aver contratto il virus. Le complicanze dell’epatite, soprattutto di tipo C, come la cirrosi epatica e, in alcuni casi, anche il tumore del fegato, possono manifestarsi anche a distanza di venti anni dal contagio.

Il virus dell’epatite B (Hbv) si trasmette attraverso il sangue: uso di siringhe infette, rapporti sessuali non protetti, da madre infetta al feto, oggetti taglienti di uso quotidiano (coltelli, forbici e così via), spazzolini da denti e altri oggetti da toilette. Senza dimenticare gli strumenti chirurgici non ben sterilizzati e le trasfusioni con sangue infetto, anche se oggi il rischio di infettarsi in questo modo si è notevolmente ridotto grazie ai rigorosi controlli applicati negli ospedali.

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