Sei esplosioni stellari mai viste prime, inclassificabili, inspiegabili e 10 volte più brillanti e potenti delle supernovae di primo tipo. Quelle che, fino a questo momento, si pensavano essere le “detonazioni” più luminose dell’Universo.
Si tratta di un tipo completamente diverso dalle supernovae conosciute, tanto da meritarsi una categoria a parte, creata da Robert Quimby e dal suo gruppo di astronomi del Californian Institute of Technology, cui va il merito della loro scoperta, raccontata su Nature.
Le supernovae sono esplosioni di stelle morenti o il risultato dello scontro tra due soli. Non passano inosservate perché liberano nell’Universo un’enorme quantità di luce, così intensa da eguagliare (anche se per poco tempo) la luminosità dell’intera galassia che le ospita. Gli astrofisici le classificano in diversi gruppi, a seconda del tipo di radiazione che emettono, rivelatore della composizione chimica. Questa carta di identità dipende dal decadimento radioattivo degli elementi generati durante l’esplosione, dello shock termico interno alla stella o dell’interazione tra la polvere stellare liberata durante l’esplosione e il materiale circostante. Il tipo Ia, per esempio, si ha quando vi è traccia di idrogeno e si verifica quando i resti di un sole morente succhia materiale da una stella compagna; il tipo II, che contiene idrogeno, si ha quando il core di una stella massiva collassa su se stesso. Al momento sembra che nessuno dei processi elencati possa però spiegare la formazione di queste nuove sei supernovae, che contengono ossigeno (e niente idrogeno) e liberano fasci di raggi ultravioletti per un tempo molto lungo. Secondo i ricercatori, questi dati si spiegherebbero solo in presenza di supernovae a grande raggio che si espandono ad altissima velocità.
Quimby ne ha individuate 4 tra il 2009 e il 2010, grazie al Telescopio Oschin sull’Osservatorio californiano del Monte Palomar. Le loro caratteristiche – la grande luminosità nonché la durata – gli avevano ricordato altre due strane esplosioni, osservate nel 2005 e nel 2006.
Dal momento che questa nuova classe di stelle in esplosione continua a emettere radiazione anche per anni, i ricercatori vogliono sfruttarle come fossero dei fari per illuminare gli angoli più remoti e primitivi delle galassie.
Credit immagine: Caltech/Robert Quimby/Nature
Riferimento: doi:10.1038/nature10095
Fonte: wired.it
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