Nuovi pericoli per l’ozono

Lo strato di ozono che circonda e protegge la Terra è più a rischio di quanto pensassimo. Stando a uno studio appena pubblicato su Nature Geoscience dai ricercatori della University of Leeds, infatti, diverse sostanze chimiche non incluse nel protocollo di Montreal, il trattato siglato dalle Nazioni Unite per proteggere l’ozono, le cosiddette “very short-lived substances” (Vsls) stanno pericolosamente aumentando, mettendo a repentaglio la “buona salute” della nostra atmosfera.

Ryan Hossaini, uno degli autori dello studio, della School of Earth and Environment di Leeds, racconta infatti che “le Vsls sono di origine sia industriale che naturale. La loro produzione industriale non è regolamentata dal protocollo di Montreal perché, storicamente, queste sostanze non hanno contribuito molto al danneggiamento dell’ozono. Tuttavia, oggi abbiamo osservato che una di esse sta crescendo più della norma. Se il trend dovesse continuare, lo strato di ozono correrebbe nuovamente un grande pericolo”.

Nel loro studio, gli scienziati hanno usato un modello computerizzato dell’atmosfera per determinare l’impatto delle Vsls su ozono e clima, analizzando anche le serie storiche su emissioni e presenza delle sostanze sull’atmosfera, fornite dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) statunitense. I risultati hanno evidenziato un improvviso aumento del diclorometano, un Vsls di origine umana emesso in diversi processi industriali.

“Dobbiamo continuare a monitorare la presenza atmosferica di questi gas e determinarne la sorgente”, spiega Martyn Chipperfield, un altro autore del lavoro. “Al momento, la ‘ricompattazione’ dello strato di ozono dopo la messa al bando dei Cfc [i famigerati clorofluorocarburi, nda] è ancora in atto, ma la presenza sempre maggiore di diclorometano rende la situazione molto più incerta”. Anche perché il diclorometano, stando all’analisi degli scienziati è almeno quattro volte più pericoloso dei clorofluorocarburi in termini di danneggiamento dello strato di ozono e influenza sul clima. Forse è arrivato il momento di aggiornare gli accordi internazionali.

Riferimenti: Nature Geoscience doi: 10.1038/ngeo2363
Credits immagine: liquidnight via Compfight cc

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