“Nutriamo il Mondo”, per ora sulla carta

Per nutrire la popolazione mondiale nei trent’anni a venire la produzione di cibo dovrebbe aumentare del 75 per cento. Ma la disponibilità procapite di terreno agricolo sta diminuendo a causa della pressione demografica, dell’inquinamento e del degrado. Secondo la Fao (Food and Alimentation Organization), circa 1 miliardo di ettari di terra è soggetto all’erosione del vento e dell’acqua mentre 200 milioni sono quelli sottoposti a degrado chimico e fisico. Intanto, le risorse ittiche sono state sfruttate così intensamente che le 18 aree marine di pesca del mondo hanno raggiunto o superato i loro limiti naturali di produttività.In breve, nei prossimi anni sarà sempre più difficile nutrire una umanità in continua espansione. Per questo il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, ha invitato i capi di stato e di governo di tutto il mondo a un Vertice mondiale sull’alimentazione che si terrà dal 13 al 17 novembre presso la sede dell’organizzazione a Roma. Un evento eccezionale, proprio a sottolineare la gravità delle situazione.Nonostante tutto la Fao cerca di trovare motivi di ottimismo: «Le prospettive non sono del tutto desolanti» sostiene in uno dei documenti di presentazione del Vertice. «La ricerca nel campo delle nuove varietà e delle colture riscoperte, l’intensificazione dell’agricoltura nei paesi in via di sviluppo, migliori sistemi di irrigazione e lotta antiparassitaria, la diffusione dell’acquacoltura, la coltivazione agroforestale, politiche che promuovono globalmente una migliore gestione delle risorse e delle pratiche sostenibili, tutti questi elementi possono dimostrarsi di grande aiuto».Come ammette tuttavia la stessa organizzazione, il tasso di crescita della produzione mondiale di cibo è andato rallentando per tre decenni ed è previsto che continui a seguire questa tendenza. Sono lontani i tempi della “rivoluzione verde”, quando (erano i “mitici” anni Sessanta) la produzione di cibo aumentava del 3 per cento ogni anno. Già negli anni Ottanta, il tasso era sceso al 2,2 e si prevede che giunga all’1,8 entro il 2010.Cifre che vengono decisamente contestate da Lester Brown, presidente del Worldwatch Institute: «Negli ultimi cinque anni, le più note proiezioni per il più importante prodotto mondiale – il cibo – hanno continuato a marciare avanti, anche se la produzione sta diminuendo». In effetti, la situazione degli approvvigionamenti, anche a causa delle sfavorevoli condizioni atmosferiche in Nord America, è divenuta sempre più precaria nel corso degli anni Novanta. Le riserve mondiali di cereali sono calate sotto al livello considerato necessario per la sicurezza alimentare globale. Durante il periodo luglio 1995-maggio 1996, inoltre, il prezzo del grano è aumentato del 37 per cento e quello del granturco del 51 per cento tra il 1994 e il 1995. Colpa solo del brutto tempo? No, sostiene l’istituto di Washington: “colpa” anche dell’affacciarsi sul mercato di un gigante come la Cina (convertitosi da esportatore in importatore di cereali).«I governi di tutto il mondo» spiega Brown «su basano sulle proiezioni di Fao e Banca mondiale per prendere decisioni sulla produzione di cibo, le importazioni e altre questioni importanti. Ma gli economisti che fanno tali previsioni si fondano soprattutto su estrapolazioni dei vecchi trend di produzione, sostenendo meccanicamente che i contadini, poiché sono stati abili a realizzare una forte crescita dei raccolti di grano dal 1960 al `90, allora continueranno a fare così all’infinito».La semplice proiezione delle tendenze del passato non funziona su lungo termine, sostiene il presidente del Worldwatch Institute. Nuovi limiti, infatti, condizionano la produzione agricola: «La terra coltivata sta di fronte alla diffusione urbana; l’acqua di irrigazione viene dirottata in grande quantità per necessità industriali o municipali; l’uso di fertilizzanti ha raggiunto un punto di saturazione in gran parte della Terra, oltre il quale dosi extra non aumentano il raccolto; e l’efficienza nella produzione di proteine del sistema agricolo mondiale sta declinando, dal momento che le prosperose popolazioni asiatiche si spostano in maniera crescente dal consumo di grano a quello di carne. Nel frattempo, la domanda continua a crescere ogni anno di circa 90 milioni di bocche».Come nutrire allora una popolazione che nel 2025 si prevede raggiungerà la cifra di 8,5 miliardi senza distruggere le risorse alle quali dovranno attingere le generazioni successive? La risposta, dicono alla Fao, è in una parola cara agli ambientalisti (un vero e proprio passe-partout): “sostenibilità”, ovvero uno “sviluppo agricolo e rurale sostenibile”.«Gli aumenti nella produzione devono venire principalmente dalla terra già esistente e dall’acqua gestita in modo sostenibile» sostiene ora l’organizzazione dell’Onu che sembra avere abbandonato l’approccio “vetero-industriale”, il culto della monocoltura e l’orgia dei pesticidi per lasciare posto a – lo definisce così – un approccio “più olistico”. E quindi ecco le nuove parole d’ordine: mantenere la diversità delle colture e delle varietà; diversificare i sistemi di coltivazione per un uso maggiore del potenziale biologico e genetico di piante e animali; approfittare dei processi naturali, come il riciclaggio dei nutrienti, per ridurre la dipendenza dai fertilizzanti; adottare tecniche di lotta integrata; ruotare le colture e sviluppare sistemi agroforestali per conservare la fertilità del suolo; passare alle fonti rinnovabili di energia; irrigare i campi in maniera più efficiente. Speranze, e timori, sono ovviamente riposte anche nelle biotecnologie. E poi pesca su scala ridotta, acquacoltura e uso delle acque interne.«Nutrire il mondo» è lo slogan del Vertice. Purtroppo, buttare giù un bel documento e farlo firmare dai capi di Stato e di governo non sarà sufficiente a “nutrire il mondo”. Passare dalle parole ai fatti: questo è il problema.

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