Obiettivo qualità di vita

Insieme alle cure sempre più efficaci, l’oncologia del futuro punta ad assicurare ai malati di cancro una qualità della vita accettabile. In questo senso i progressi compiuti negli ultimi anni sono enormi: nuove tecniche chirurgiche, per esempio, consentono di intervenire in distretti dell’organismo in maniera molto meno invasiva, garantendo minori traumi. “Oggi il cancro deve essere considerata una malattia come il diabete”, ha affermato Eugenio Villa, direttore dell’Unità operativa di Radiochemioterapia dell’ospedale “San Raffaele” di Milano in occasione del congresso “Strategie per una migliore qualità di vita” organizzato da dalla Fondazione “Campanile” in collaborazione con l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) svoltosi l’11 e il 12 febbraio scorsi a Valderice (Trapani).”I progressi in campo diagnostico e terapeutico, infatti, consentono di assicurare ai pazienti affetti da tumori, in una buona percentuale di casi, numerosi anni di sopravvivenza. Puntare sulla qualità della vita è quindi un dovere al quale l’oncologia non può più sottrarsi”. Tra le strategie di cura che negli ultimi anni hanno rivoluzionato questo campo c’è il Gamma Knife, “un bisturi a raggi gamma ideato in Svezia”, spiega Piero Picozzi dell’Unità operativa Gamma Knife del “San Raffaele”, “che, nei pazienti idonei per questo trattamento, permette di ottenere risultati migliori di quelli raggiungibili con un intervento neurochirurgico tradizionale. Le complicanze sono poche – con questa tecnica sono già stati operati circa 600 pazienti – e non è stata riscontrata una mortalità paragonabile a quella associata a un intervento al cervello”. In più la radiochirurgia consente, qualora ce ne fosse la necessità, di intervenire anche una seconda, terza, volta sul cervello per asportare nuove, eventuali, metastasi. Ciò consente – nonostante la tecnica sia riservata a pazienti con stadi avanzati di neoplasie come, appunto, le metastasi cerebrali – di aumentare la sopravvivenza. Una delle novità di rilievo presentate al congresso di Valderice è una tecnica per garantire l’erezione ai pazienti operati di asportazione della prostata. “Ci sono pazienti”, dice Patrizio Rigatti, direttore dell’Unità Operativa di Urologia del “San Raffaele”, “che non intendono correre il rischio, sottoponendosi all’intervento di asportazione della ghiandola prostatica, di perdere la capacità erettile”. Un’evenienza che, mediamente, colpisce circa il 50 per cento dei soggetti. “Oggi, seppur in via sperimentale, siamo riusciti ad assecondare le aspettative di quanti non vogliono correre questo rischio, mediante l’impiego di un pace-maker impiantato nella cavità pelvica e azionabile con un telecomando”, va avanti l’urologo. La tecnica consiste nell’inserire – dopo aver asportato la ghiandola prostatica – due placche metalliche, ricoperte di un film che evita il rigetto, attorno ai nervi che sono deputati all’erezione. “I nervi sono in contatto con la capsula della ghiandola prostatica”, spiega Rigatti, “e, spesso, possono subire dei danneggiamenti durante l’intervento”. Le placche rimangono inattive e si attende che il paziente superi la convalescenza. Se dovesse avere disturbi erettili, mediante un telecomando si invia un impulso al pace-maker che, agendo sui nervi, genera l’erezione. Ed è sempre dal telecomando che si aziona la fase di “riposo”. Al “San Raffaele” sono stati seguiti 15 interventi, tutti con successo. Unica pecca il costo. “Oggi siamo in fase sperimentale”, conclude il medico, “ma presto i pace-maker saranno messi in commercio e, naturalmente, la spesa non sarà coperta dal sistema sanitario nazionale”.

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