Occhio a quei numeri

Ariete: attenti alle infezioni intestinali. Acquario: polmonite in agguato. Per il Toro il pericolo è la frattura del femore. Quanto al Cancro (nel senso del segno), rischia di soffrire di ernia, mentre lo Scorpione rischia proprio il cancro (nel senso della malattia), in particolare le leucemie.

Non è come pensate. Galileo non ha (ancora) ceduto alle pressioni di chi vorrebbe trovare anche qui la pagina dell’oroscopo. Quelle bizzarre previsioni zodiacali provengono da uno studio curato da Peter Austin, un esperto di statistica medica dell’Università di Toronto, e pubblicato su Journal of Clinical Epidemiology. Austin, che ha presentato il suo lavoro anche alla riunione annuale della American Association for the Advancement of Sciences, ha effettivamente analizzato i dati sui ricoveri ospedalieri in Ontario, associando la frequenza di alcune patologie ai segni zodiacali. Il suo intento non era affatto, però, di cercare convalide scientifiche per l’astrologia.

Al contrario, il ricercatore canadese ha voluto richiamare l’attenzione dei colleghi sui rischi di un uso improprio della statistica negli studi medici: che può facilmente portare a vedere relazioni significative dove invece non ve ne sono. Se le associazioni sono biologicamente implausibili come queste (nemmeno il più fanatico degli astrologi in fondo si spinge a un tale dettaglio clinico) le scartiamo con un sorriso e un’alzata di spalle. Ma in altri casi (per esempio l’associazione tra il consumo di un certo alimento e una data patologia) finiamo per prenderle per buone senza discuterle, quando in realtà non sono più attendibili di quella Ariete-infezioni intestinali.

Austin si riferisce in particolare sugli studi osservazionali, quelli in cui si analizzano, con le opportune elaborazioni statistiche, dati sanitari raccolti da un’ampia fetta di popolazione. Questi studi si contrappongono, nella ricerca medica, alle sperimentazioni “controllate e randomizzate”, quelle per capirci su cui si basa l’approvazione di un farmaco. Gli studi osservazionali spesso vanno alla ricerca di deboli relazioni statistiche tra fenomeni, per esempio se e quanto il consumo di un particolare alimento contribuisca al rischio di un determinato tumore.

Per far questo (semplificando all’eccesso, perché il linguaggio statistico è tra i più ostici), ci si basa su una convenzione: se la probabilità di osservare una correlazione tra due fenomeni “per caso” è inferiore al 5 per cento, e quella correlazione viene riscontrata, allora è significativa. “Per esempio”, spiega Cristina Montomoli, professore associato di statistica medica all’Università di Pavia e segretario della Società Italiana di Statistica Medica ed Epidemiologia Clinica (Sismec), “potremmo testare l’ipotesi che un certo farmaco abbia effetto sulla diuresi. Se la probabilità di osservare quell’effetto per caso è inferiore al 5 per cento, ed effettivamente lo si osserva, allora si conclude che il farmaco è efficace”. Però, e qui viene il problema segnalato da Austin, praticamente nessuno studio medico testa davvero una sola ipotesi per volta. “Per esempio, se sto verificando quale tra due farmaci sia più efficace, in realtà sto sommando tre ipotesi”, chiarisce ancora Montomoli: “che il farmaco A sia efficace rispetto a nessun farmaco; che il farmaco B sia efficace rispetto a nessun farmaco; che il farmaco A sia efficace rispetto al farmaco B”. In questo caso i vari 5 per cento andrebbero sommati, e la probabilità di correlazioni osservate per caso (quindi, di errori) diventa del 15 per cento.

La faccenda è in realtà molto più complicata dal punto di vista matematico, ma l’essenza è chiara: più ipotesi si mettono alla prova, più è necessario usare correzioni statistiche che invece, spesso e volentieri, vengono “dimenticate”.

Proprio “dimenticando” di fare queste correzioni Austin ha potuto estrarre, con procedimenti statistici che sembrano impeccabili ai non addetti ai lavori, quelle correlazioni “zodiacali”. Per ognuno dei segni zodiacali ha testato due ipotesi di patologia (scelte in modo casuale). E molte di quelle ipotesi, tra cui quelle citate all’inizio, sembravano reggere. Una volta però corretta la statistica tenendo conto che le ipotesi testate contemporaneamente erano in realtà 24, allora quelle associazioni segno-malattia scomparivano (perché, a scanso di equivoci, non è vero che gli Arieti soffrano di più di infezioni intestinali).

Per far capire come lo stesso problema si riproponga negli studi clinici, Austin cita due esempi recenti di studi su farmaci contro l’insuffienza cardiaca: gli studi Praise (sull’amlodipina) ed Elite (sul Losartan). In entrambi i casi, gli effetti positivi riscontrati negli studi osservazionali sono poi scomparsi nelle sperimentazioni controllate. Ma con le giuste correzioni statistiche i ricercatori si sarebbero accorti subito che non c’era nessun beneficio. Alla stessa riunione dell’Aaas dove Austin ha presentato il suo lavoro, Johann Ioannidis dell’università greca di Ioannina, ha passato in rassegna i maggiori studi osservazionali in letteratura, dimostrando che solo il 20 per cento si basavano su un’analisi statistica veramente corretta. Insomma, la prossima volta che qualcuno vi dice che una certa verdura protegge dal tumore alla prostata, tenete presente che il consiglio potrebbe non essere più fondato di quelli degli oroscopi.

“Questo non vuol dire però che gli studi osservazionali siano da buttare”, chiarisce Cristina Montomoli. ”Al contrario, sono usati sempre più frequentemente, non solo per valutare i fattori di rischio per le varie patologie, ma anche per studiare efficacia e sicurezza dei farmaci dopo l’immissione sul mercato. E rispetto alle sperimentazioni controllate, hanno il vantaggio di studiare situazioni reali e di coinvolgere molti più pazienti”. Proprio a vantaggi e svantaggi degli studi osservazionali rispetto alle sperimentazioni controllate la Sismec dedicherà il suo convengo annuale, che si svolgerà a Palermo in settembre. “Certo, sarebbe importante che tra i referee che valutano questi studi prima della pubblicazione ci fosse sempre un esperto di statistica. E questo avviene per le grandi riviste ma non sempre per quelle minori”.

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