Oltre la cancellazione del debito

Al XXVII vertice dei G8 che si terrà a Genova dal 20 al 22 luglio l’Italia sarà Presidente di turno. In quell’occasione verrà presentato il documento “Beyond debt relief” (Oltre la cancellazione del debito) elaborato alcuni mesi fa dall’ex Ministro del Tesoro Vincenzo Visco. Il testo individua i tre interventi che sarebbero prioritari nella lotta al sottosviluppo, dopo la cancellazione del debito estero dei 41 paesi coinvolti nella iniziativa Hipc (Heavily Indebted Poor Countries). Secondo il documento sarebbero necessarie la rimozione delle barriere commerciali e l’apertura dei mercati, la promozione degli investimenti diretti esteri, gli aiuti mirati nei settori di educazione e sanità. Tutte proposte di rilievo, anche se l’impianto generale lascia ampio spazio a commenti e critiche. Per leggere tra le righe del documento abbiamo intervistato l’economista Riccardo Moro, coordinatore del Comitato Cei per la riduzione del Debito dei Paesi poveri.

Dottor Moro, il documento italiano parte dal presupposto che l’iniziativa Hipc per la riduzione del debito abbia dato risultati “sostanzialmente positivi” nella lotta alla povertà. Quindi sarebbe il momento di andare “oltre la cancellazione del debito”. Ma le cose stanno davvero così?

“Purtroppo no. Già nell’aprile scorso manifestammo al Presidente Amato i limiti di questo testo: parlare di “oltre” era una scelta rischiosa, visto che il problema del debito non è affatto risolto. Pensiamo all’iniziativa Hipc: quand’anche raggiungesse a pieno i suoi obiettivi, il debito complessivo dei 41 paesi più poveri, quasi tutti africani, sarebbe ridotto soltanto del 9 per cento. Per risolvere i problemi del sud del mondo bisogna che la cancellazione del debito generi contemporaneamente risorse da impiegare nel miglioramento di servizi e istituzioni locali. Finora la semplice cancellazione è stata vista come un fatto positivo. Ma se la Hipc ha eliminato alcune fette di debito, non è riuscita a migliorare la vita delle popolazioni africane”.

Nel documento italiano si parla di creazione del mercato nelle zone sottosviluppate. Il libero scambio da solo può far uscire il sud del mondo dalla povertà?

“Oggi è molto diffusa la convinzione che il mercato sia in grado di garantire da solo lo sviluppo, tanto che il primo capitolo è intitolato “Commercio, motore dello sviluppo”. Anche qui c’è un problema di punti di vista. Il mercato interno va certamente sviluppato, ma non può essere la panacea di tutti i mali. Il sud del mondo ha bisogno di risorse finanziarie. Perciò bisogna subito cancellare il debito. Poi bisogna fare molto altro per creare sviluppo: promuovere il commercio interno e internazionale è una di queste cose. Ma il mercato è uno strumento, non un valore a sé stante. Altrimenti si rischia di creare “condizioni di mercato” a ogni costo, senza pensare alle esigenze umane. Abbiamo bisogno di mercato, ma anche di regole che redistribuiscano a favore dei più deboli quei vantaggi che sono oggi prerogativa del nord industrializzato”.

Una delle proposte del documento più in evidenza è quella per la creazione di un “Trust Fund” di un miliardo di dollari destinato a migliorare i servizi sanitari. Al Fondo parteciperebbero oltre ai governi dei G8 le mille maggiori multinazionali, con un contributo di 500.000 dollari ciascuna. Come va letta questa proposta?

“E’ positivo che sia l’Italia a proporre una via d’uscita per il problema dell’Aids in Africa. Ciò che lascia adito a critiche è l’impostazione del Trust Fund, considerati anche gli ingenti costi di una campagna sanitaria di questo genere. Chiedere un miliardo di lire alle prime mille multinazionali mondiali significa solo fare loro pubblicità gratuita! Mentre le condizioni di salute della popolazione africana non cambierebbero minimamente, queste aziende potranno vantarsi di aver contribuito in prima persona per una giusta causa. Oltretutto il documento tace sulla questione fondamentale della regolamentazione dei prezzi dei medicinali, sulla distribuzione e produzione dei farmaci salvavita nei paesi più poveri. Se no, anche su questo fronte il terzo mondo resterà sempre tagliato fuori”.

Il cosiddetto “popolo di Seattle” reclama a gran voce la riforma delle istituzioni finanziarie globali, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale. Anche su questo il documento tace. Senza tali riforme c’è qualche possibilità di sviluppo per i paesi più poveri?

“Sostanzialmente sì. Purché tali organismi non adottino regole che ostacolino lo sviluppo. Oggi queste istituzioni propongono strategie di lotta alla povertà che uniscono obiettivi sociali al miglioramento strutturale dei sistemi economici. Ma non è sempre stato così: fino al 1999 era usato il metodo dell’aggiustamento strutturale, che obbligava i paesi poveri a un forzoso riequilibro macroeconomico, con conseguenze talvolta abnormi su istruzione, sanità, occupazione. Certamente una riforma renderebbe molto più significativa l’azione di queste istituzioni nella lotta al sottosviluppo, ed eliminerebbe alcune palesi anomalie . A tuttoggi , per esempio, Banca Mondiale e Fondo Monetario sono contemporaneamente creditori e giudici nelle questioni del debito, mentre sarebbe necessaria una sede di arbitrato indipendente. Inoltre, come è noto Banca e Fondo non hanno un’organizzazione democratica: sono costituiti come società in cui chi versa di più ha più potere. E dunque i G7 hanno potere assoluto di decisione sui debiti del terzo mondo”.

Data la gravità delle emergenze e la grande mobilitazione civile prevista per questo fine settimana a Genova, quali risultati possiamo realisticamente aspettarci da questo G8?

“Cercando di sfondare la zona rossa si avrà solo l’effetto di depotenziare gli sforzi fatti per farsi ascoltare dai potenti. Quindi sono contrario alle proteste di questo tipo. Quanto agli esiti del vertice sono ottimista sullo spostamento in avanti della “Cut of Date” (la data al di là della quale i debiti contratti non saranno cancellati). Speriamo che i 7 grandi si impegnino a rispettare concretamente lo stanziamento annuale dello 0.70 per cento del Pil per il sostegno dello sviluppo degli stati più poveri. E ci auguriamo venga finanziato con doni e non con prestiti, proprio per non aumentare il debito. Non mi aspetto molto altro da questo G8. Perché l’Italia, paese presidente, ha appena eletto un governo di matrice assai diversa dal precedente. E lo stesso è capitato agli Usa, “azionista” di maggioranza del G8. Anche se le conclusioni di questi vertici sono frutto di lunga preparazione credo che questi due cambiamenti di prospettiva politica incideranno profondamente sui risultati finali del vertice di Genova”.

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