Dall’Islanda a Genova, il viaggio record di una famiglia di orche

Foto di Ursula Di Chito da Pixabay

Oltre 5 mila chilometri, dal mare d’Islanda al Mediterraneo. E’ un viaggio lunghissimo, mai fatto prima, quello compiuto dalle orche che da oltre due settimane trovano rifugio nel porto di Genova. Un evento straordinario che ha attirato l’attenzione – oltre che di curiosi e appassionati – della comunità scientifica. Le orche non sono di casa nel Mediterraneo, e tanto meno in un porto: che ci fanno lì?

Il mistero delle orche nel porto

Negli ultimi duecento anni sono stati solo una quarantina gli avvistamenti di orche nel Mediterraneo, di cui una decina in Italia: l’ultimo è avvenuto a Finale Ligure nel 1985. Poi più nulla fino allo scorso 1° dicembre, quando il piccolo gruppo di cetacei è stato visto per la prima volta nelle acque del porto: quattro adulti e un cucciolo, che poi purtroppo non ce l’ha fatta. E forse è proprio per proteggere lui e un altro giovane che non gode di buona salute che il gruppo è rimasto così a lungo nel porto e solo ora, dopo 18 giorni, sembra che si stiano allontanando, come farebbe sperare l’avvistamento di oggi al largo di Vado Ligure, in provincia di Savona.

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Gepostet von Orca Guardians Iceland am Montag, 16. Dezember 2019

Nel frattempo, con l’aiuto della Guardia Costiera, gli scienziati stanno cercando il corpo del piccolo morto, che potrebbe essere stato avvistato domenica dalla spiaggia di Noli. Il suo recupero permetterebbe ai veterinari di risalire alle cause della morte e di avere altre informazioni sulla provenienza di questo gruppo “avventuroso” di orche. Proprio ieri, infatti, grazie al materiale video e fotografico pubblicato online da Whale Whatching Genova e dagli studiosi del Tethys Research Institute che dal 2 dicembre monitorano il gruppo, gli scienziati di Orca Guardians Iceland hanno riconosciuto una famiglia di orche avvistata in Islanda fino a luglio 2017 e poi riapparsa lo scorso novembre a Cartagena, di fronte alle isole Baleari. Dopo una tappa a Formentera, il 22 novembre il gruppo era stato avvistato a Carloforte, in Sardegna, e poi al porto di Genova.

Una famiglia matriarcale

“Si tratta di una femmina adulta, la madre del piccolo morto, un maschio adulto e altri due individui di cui non è stato ancora identificato il sesso: in base alla grandezza, potrebbero essere due femmine o due giovani maschi”, spiega Sabina Airoldi, biologa marina e coordinatrice scientifica del Cetacean Sanctuary Research dell’Istituto Tethys. “Al contrario di quello che potremmo pensare, il maschio adulto non è il padre. Sicuramente gli animali sono tutti imparentati fra loro, ma è probabile che si tratti di una madre con giovani figli, fratelli fra loro o al limite cugini. Le orche, infatti, hanno un’organizzazione matrilineare”, spiega la biologa. “Uno degli esemplari più giovani appare emaciato e molto debilitato: è probabile che la matriarca abbia deciso di restare nei pressi della terraferma e non avventurarsi in un viaggio impegnativo per non mettere a rischio la sua vita”.

Dopo il riconoscimento fotografico degli animali, è arrivato anche quello acustico. Le orche, infatti, emettono vocalizzazioni raffinate e diverse per ogni famiglia, che la studiosa paragona a dialetti, tipici dei clan familiari. “Questi cetacei hanno una grande complessità sociale: più unità familiari formano un pod, e questi a loro volta si raggruppano in clan. Al loro interno avviene una vera e propria trasmissione orale della cultura: loro comunicano agli altri e apprendono comportamenti non solo per imitazione, ma anche tramite le vocalizzazioni”, continua Airoldi.

Purtroppo, due giorni dopo l’arrivo a Genova, il cucciolo è morto. “A quel punto la madre ha preso su di sé il piccolo per tenerlo in superficie”, racconta la biologa, che ha ha osservato a distanza insieme ad altri ricercatori accorsi per monitorare gli animali. “È un comportamento tipico dei cetacei odontoceti, come le orche. Contemporaneamente ha iniziato a emettere dei suoni, come per chiamarlo. Questo lamento può durare anche molto tempo: in questo caso la madre lo ha lasciato andare dopo tre giorni e mezzo, ma è stato documentato anche un caso di un’orca che ha cullato il cucciolo morto per 17 giorni. Possiamo considerarla una forma di elaborazione del lutto: ennesima dimostrazione dell’esistenza di una dimensione emotiva anche nel mondo animale, specie nei mammiferi”.

A caccia di tonni nel Mediterraneo

Ma perché un gruppo di orche dovrebbe emigrare dall’estremo Nord al Mar Ligure? “Non sappiamo perché siano arrivate qui, ma certamente fanno parte di una tipologia di orche non stanziali. Le prime volte sono state avvistate nelle acque islandesi dal 2014 al 2017, sempre nel mese di giugno: una stagione anomala, perché di solito questi cetacei compaiono soprattutto in inverno, quando aumenta la concentrazione di aringhe, una delle loro principali fonti di nutrimento. Non sappiamo neanche se si stiano nutrendo qui, ma probabilmente di giorno, quando si allontanano dal porto, vanno in cerca di tonni o forse di piccoli cetacei. Anche perché sono animali che mangiano anche un quintale di pesce al giorno”.

La mobilitazione di scienziati e Guardia Costiera

Intanto, dal 4 dicembre, nel porto di Genova sono vietate le attività subacquee e il traffico di navi, ad esclusione di quelle commerciali. Una decisione che la Capitaneria di Porto ha preso non solo per tutelare la sicurezza degli animali, ma anche delle persone e delle imbarcazioni. “Non è mai stato documentato un attacco all’uomo da parte delle orche”, precisa la biologa, “ma alle barche sì. Si tratta pure sempre di animali selvatici, e non si sa come possono reagire di fronte ai pericoli, soprattutto in presenza di madri con cuccioli”. Fino a ieri gli animali non sembravano volersi allontanare dal porto, nonostante fossero totalmente liberi di muoversi. Ma oggi, per la prima volta, l’avvistamento a Vado Ligure fa sperare che siano pronti a riprendere il largo.

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