Categorie: Ambiente

Pannelli dalle foglie

Una serie lunghissima di reazioni chimiche che si gioca sul filo dei millesimi di secondo e che garantisce a tutte le piante di vivere, “rubando” l’energia del Sole e trasformandola il linfa vitale. È la fotosintesi, uno dei meccanismi naturali più complessi che oggi appare un po’ meno misterioso. A fare luce è la pubblicazione di un articolo su Science che arriva a conclusione di 20 anni di ricerche coordinate da Neal Woodbury del Biodesign Institute dell’Università dell’Arizona.

Per capire meglio cosa accade durante la fotosintesi, i ricercatori hanno usato un batterio che usa questo processo, il Rhodobacter sphaeroides. In particolare la loro attenzione si è concentrata su quelle proteine che tengono le molecole di clorofilla a distanza ottimale l’una dall’altra in modo che gli elettroni possano spostarvici. Un movimento che è alla base del trasferimento di energia.

Usando un laser sofisticato, che ha permesso loro di scattare fotografie molto precise dei meccanismi che caratterizzano questo scambio di elettroni, i ricercatori statunitensi sono riusciti a capire in che modo il movimento delle proteine garantisce sempre, anche quando le condizioni di energia non erano ottimali, lo spostamento degli elettroni. Le proteine sono come dei lenti ascensori programmati per accompagnare i passeggeri fino al piano giusto: anche se l’energia iniziale è molto forte oppure molto debole, le proteine sono in grado di modulare la spinta fino a depositare gli elettroni là dove devono arrivare.

Sulla base di queste osservazioni, Neal Woodbury ha elaborato un modello matematico che quantifica il tasso di elettroni da trasferire perché abbia inizio la fotosintesi. Modello che potrebbe risultare molto utile per lo sviluppo di celle solari organiche, molto più economiche di quelle tradizionali in silicio. “Uno dei problemi principali del fotovoltaico organico è il fatto che le celle non funzionano se le condizioni meteo non sono ottimali”, ha spiegatoWoodbury.

La soluzione potrebbe venire, allora, proprio dal sistema usato in natura: si tratterebbe di  introdurre solventi in grado di obbligare le molecole ad agire come le proteine nella clorofilla, portando a termine il loro compito qualsiasi sia la condizione di partenza. (l.g.)

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