Categorie: Salute

Per qualche copia in più

Due copie di ogni gene, una ereditata dal padre e l’altra dalla madre. Così è fatto il patrimonio genetico, come ci viene insegnato a scuola. Ma una nuova mappa genetica pubblicata questa settimana su Nature mette in crisi questo dogma, dimostrando che in realtà per almeno il 10 per cento del genoma il numero di copie del gene presenti nei diversi individui può variare moltissimo. C’è chi ne ha una sola, chi le due regolari e chi tre o più. Lo studio, curato da un gruppo di ricercatori coordinati da Matthew Hurles del Wellcome Trust Sanger Institute di Cambridge e Stephen Scherer dell’Hospital for Sick Children di Toronto, prova che è proprio il numero di copie dei geni ciò che differenzia maggiormente i genomi di diversi individui. E potrebbe anche contraddire l’idea che il Dna di due individui sia in media simile al 99,9 per cento, una statistica resa popolare dal Progetto Genoma, ma che non teneva conto di questo fattore.

I ricercatori hanno confrontato il Dna di 270 individui di diversa origine (asiatica, africana, europea), i cui genomi erano stati già sequenziati nell’ambito del progetto HapMap (che cercava invece le variazioni a livello di singoli nucleotidi tra i diversi individui). E in quei genomi hanno analizzato, utilizzando le tecniche di analisi e i metodi statistici più avanzati, la frequenza di geni duplicati o cancellati, chiamati copy number variations (Cnv). Questo tipo di mutazioni erano state sempre trascurate dall’anlisi genomica, un po’ perché finora si preferiva concentrarsi su un quadro di insieme del genoma, un po’ perché le sequenza ripetute sono molto più difficili da sequenziare.

Nel complesso, Hurles, Scherer e colleghi hanno identificato 1447 mutazioni Cnv, che statisticamente rappresentano circa 12 per cento del genoma umano, e dal sei al 19 per cento di ogni singolo cromosoma. Non solo queste variazioni si sono rivelate molto comuni, ma riguardano spesso sequenze molto lunghe di Dna. “Abbiamo riscontrato la mancanza di frammenti di Dna lunghi un milione di nucleotidi o più” spiega Scherer. “Si è sempre pensato che una cancellazione di queste dimensioni dovesse per forza produrre una malattia. Invece abbiamo scoperto che è qualcosa di molto comune”.

Qualche sospetto era già venuto l’anno scorso, quando Michael Wigler del Cold Spring Harbor Laboratory di New York aveva condotto un’indagine simile su 20 individui, trovando che in media due persone si differenziano per ben 11 delezioni o ripetizioni di specifici geni. Ma ora i dati pubblicati su Nature suggeriscono che sia proprio la ripetizione o cancellazione dei geni, più che le “classiche” mutazioni a livello di singolo nucleotide (dette Snp, Single Nucleotide Polymorphism) la vera fonte di diversità genetica all’interno della nostra specie. Insomma, se siamo diversi l’uno dall’altro non è tanto per quali geni abbiamo, ma per quante copie ne abbiamo.

Resta da indagare come le mutazioni a livello di copie dei geni possano avere ricadute sulla salute. In linea di principio, ogni delezione o ripetizione di un gene dovrebbe influenzare la quantità di Rna  messaggero prodotta e quindi la quantità di una particolare proteina sintetizzata. Questo può favorire o prevenire l’insorgenza di malattie, ed è stato già dimostrato come questo avvenga nel caso alcune talassemie. Ipotesi ancora da verificare sono state fatte per l’autismo, o per la suscettibilità all’Hiv. In futuro, sperano i ricercatori, si potrebbero “contare” le copie di geni critici e compensare gli squilibri delle loro proteine per curare malattie.

Una osservazione particolarmente interessante emersa da questo studio è poi come le mutazioni nel numero di copie dei geni abbiano caratteristiche e frequenze diverse per le diverse popolazioni, il che potrebbe spiegare la maggiore o minore propensione ad alcune malattie riscontrata in particolari aree o gruppi etnici. Per esempio, si sa che delezioni (quindi mancanza di una copia) particolarmente frequenti del gene UGT2B17 aumentano il rischio di tumori alla prostata negli uomini africani. Per saperne di più, il consorzio responsabile di questo studio continuerà ora a lavorare per sequenziare altri genomi oltre a quelli presenti nel progetto HapMap.

Nicola Nosengo

Scrittore e giornalista. Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Siena ed aver frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, si dedica al giornalismo scientifico, scrivendo articoli sulla tecnologia, sulle neuroscienze e sulla medicina. Pubblica nel 2003 il suo primo lavoro L'estinzione dei tecnosauri, in cui parla di tutte le tecnologie che non sono sopravvissute allo scorrere del tempo. Attualmente tiene una rubrica mensile sulla rivista Wired dedicata allo stesso tema.Tra il 2003 e il 2007 collabora con diverse redazioni come L'espresso, La Stampa, Le Scienze, oltre che aver partecipato alla realizzazione dell'Enciclopedia Treccani dei Ragazzi.Nel 2009 ha pubblicato, con Daniela Cipolloni, il suo secondo libro, Compagno Darwin, sulle interpretazioni politiche della teoria dell'evoluzione.

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