Perché è così pericolosa l’epidemia di ebola

È salito ormai a più di 1.200 infezioni e 672 vittime il bilancio di quella che è stata definita la peggior epidemia di Ebola della storia. Aumenta inoltre il numero di paesi africani raggiunti dal virus: dopo Sierra Leone, Guinea e Liberia, ora anche la Nigeria deve fare i conti con la malattia. Patrick Sawyer, un cittadino liberiano atterrato lo scorso 20 luglio nella città di Lagos mostrando i sintomi del contagio è infatti deceduto venerdì scorso, e ora si teme per la possibile diffusione del virus in quella che, con oltre 21 milioni di abitanti, è la più grande città africana. Ma perché ebola fa tanta paura? Il problema è che si tratta di una malattia estremamente letale e contagiosa, per cui mancano ancora terapie o vaccini efficaci.

I sintomi.
Ebola è un virus che causa una febbre emorragica. Inizialmente la malattia si presenta con sintomi comuni, come febbre, dolori muscolari, debolezza, mal di testa, mal di gola, vomito e diarrea. In pochi giorni però i pazienti peggiorano, mostrando forti sanguinamenti sia interni che esterni, che possono eventualmente portare al decesso. Nei primi giorni dell’infezione la malattia può quindi essere facilmente scambiata per una semplice sindrome influenzale, con il rischio che i pazienti ignari diffondano il virus nei loro spostamenti, aiutati dall’altissima contagiosità del virus. La malattia presenta inoltre un’elevata mortalità, che per alcuni ceppi può raggiungere anche il 90%.

L’origine delle epidemie di ebola.
Si ritiene che la trasmissione del virus avvenga inizialmente attraverso il contatto con i pipistrelli della frutta, specie che abita in diverse zone dell’Africa (e questo spiegherebbe perché fino ad oggi i focolai della malattia sono sempre stati confinati in questo continente) i cui esemplari sarebbero portatori sani del microorganismo. Negli episodi registrati fino ad oggi, i focolai hanno avuto tipicamente inizio nelle zone rurali, dove gli abitanti cacciano i pipistrelli per mangiarli, spostandosi solo in un secondo momento nelle città, dove la densità abitativa favorisce ulteriormente la diffusione del virus.

Esistono farmaci o vaccini efficaci?
Quando ha inizio un’epidemia, purtroppo, la medicina può fare ben poco. Oggi infatti non esiste nessuna terapia in grado di guarire i pazienti colpiti dall’ebola, e i medici possono solamente tentare di alleviare i sintomi della malattia. Neanche sul fronte della prevenzione inoltre sono disponibili trattamenti efficaci. “Attualmente esistono diversi vaccini in fase di sviluppo, e almeno dai tre ai cinque di questi sono risultati efficaci nel proteggere le scimmie dalla malattia”, spiega sulle pagine di Scientific American Thomas Geisbert, virologo della University of Texas che si occupa di ebola fin dal 1988. “Alcuni sono in una fase di sviluppo più avanzata, altri meno, ma nessuno è ancora pronto per essere commercializzato”.

Tutti i gruppi coinvolti in queste ricerche faticano infatti a trovare i finanziamenti necessari per iniziare la sperimentazione dei vaccini sull’uomo. “Il problema è che per passare alla sperimentazione sull’uomo servono un sacco di soldi”, continua Geisbert. “Nel caso dell’ebola esiste un mercato globale estremamente ristretto. Per questo le case farmaceutiche non sono incentivate a sviluppare un vaccino, e serviranno quindi finanziamenti da parte dei governi”. Secondo il virologo, mancano almeno altri sei/dieci anni per poter vedere un vaccino sul mercato.

Come stanno affrontando l’epidemia i paesi colpiti?
Per ora ogni nazione coinvolta sembra agire di propria iniziativa. La Liberia di recente ha deciso di chiudere le frontiere, lasciando aperti solamente i punti di passaggio di maggiore importanza, e ha messo in quarantena tutti i villaggi colpiti dall’epidemia. In Nigeria sono stati bloccati invece i voli provenienti dai paesi dove è diffuso il virus, e negli aeroporti vengono controllati tutti i passeggeri alla ricerca dei sintomi della malattia, ma senza utilizzare i test diagnostici che si basano sull’analisi del sangue, invece fondamentali secondo molti esperti vista la difficoltà di una diagnosi corretta nelle prime fasi dell’infezione.

L’epidemia potrebbe raggiungere altri continenti?
C’è dunque il rischio che la malattia superi le frontiere africane, raggiungendo L’Europa, l’Asia o gli Stati Uniti,e trasformandosi in un’autentica pandemia globale? Secondo Daniel Bausch, esperto della Tulane University School of Public Health and Tropical Medicine di New Orleans, il pericolo sarebbe estremamente remoto.

“Potrebbe succedere? Penso di sì. Si trasformerebbe in un’epidemia anche da noi? Non credo”, spiega l’esperto americano sul New Scientist. “Gli screening negli aeroporti sono fondamentali, ma non ci sarebbe da preoccuparsi nemmeno se dovesse presentarsi in caso di infezione, basta che gli ufficiali sanitari prendano le adeguate precauzioni”.

Quanto tempo servirà per bloccare la diffusione della malattia?
Secondo Bausch in Africa l’epidemia è destinata a durare ancora diversi mesi. Per arrivare a bloccare la diffusione del virus i governi locali e i medici che operano nei paesi colpiti dovranno riuscire ad identificare tutte le persone che hanno avuto contatti con i pazienti infetti, e metterli in isolamento. Ma si tratta di un’operazione costosa, che richiede inoltre una forte cooperazione da parte della popolazione. Il medico americano comunque si dice ottimista: “Se tutto andrà come previsto, nelle prossime settimane l’arrivo nelle aree colpite di maggiori risorse esterne dovrebbe aiutarci a recuperare gradualmente il controllo della situazione”.

Via: Wired.it

Credits imamgine: EU Humanitarian Aid and Civil Protection/Flickr

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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