Categorie: Società

Perché l’aereo Malaysia Airlines è scomparso?

7 marzo 2013. Ore 17:21. Un Boeing 777-2H6ER di proprietà Malaysia Airlines, targato 9M-MRO, sta sorvolando il Golfo di Thailandia. È decollato trentacinque minuti prima dall’aeroporto di Kuala Lumpur in direzione Pechino. L’arrivo è previsto per le 22:30. La compagnia aerea malese ha già effettuato parecchi voli su quella rotta. Tutti con lo stesso aereo. E non c’è stato mai nessun incidente. Ma stavolta è diverso. Alle 17:21 la sagoma gialla del velivolo scompare improvvisamente dagli schermi di FlightRadar24, il sito dove è possibile monitorare il traffico aereo in tempo reale (qui l’animazione completa). Cosa è successo? Com’è possibile che un aeromobile lungo quasi ottanta metri con 239 persone a bordo scompaia, sic et simpliciter, senza lasciare traccia?

Il problema è che oggi, a quattro giorni di distanza, non ne sappiamo ancora niente. Non si sa dove sia l’aereo (di certo, purtroppo, c’è solo il fatto che è precipitato da qualche parte) né quali siano state le cause dell’incidente. Certo, ci sono delle ipotesi: sabotaggio (non è nota la nazionalità di due passeggeri che, a quanto si è appurato, viaggiavano con passaporti falsi), errore umano, guasto in volo. Ipotesi che, per ora, sono tutte ugualmente probabili. Il caso ricorda la tragedia dell’Air France 477, che alle 2:14 del 1 giugno 2009 scomparve improvvisamente dai radar (stava effettuando la rotta Rio de Janeiro-Parigi). Anche in quel frangente non si sapeva dove fosse il velivolo. E anche in quel frangente non si sapevaperché fosse scomparso. Solo dopo ricerche dispendiosissime, durate due anni, si riuscì a individuare il relitto al largo dell’Oceano Atlantico. E si capì che l’incidente era da attribuirsi a un guasto ai tubi di Pitot (lo strumento che indica la velocità) e a una serie di errori del copilota.

Per quanto riguarda il 777 di Malaysia Airlines, come dicevamo, si brancola ancora nel buio. Il Guardian spiega che i controllori del traffico aereo usano due tipi di radar: il primario, che rivela i velivoli ascoltando il ritorno di un segnale radio, e il secondario, che prevede che l’aereo invii una risposta automatica. Tutto questo, ovviamente, avviene nelle aree in cui c’è copertura radar, cioè entro un centinaio di chilometri dalla costa. Oltre questa distanza, si fa affidamento solo sui trasponder del velivolo: in particolare, il Boeing di Malaysia era dotato del sistema Acars, ovvero Aircraft Communications Addressing and Reporting System, un meccanismo di collegamento tra aereo e stazione di terra che prevede l’invio di dati via satellite. Peccato che, alle 17:21, il collegamento si sia interrotto. Questo potrebbe voler dire che i trasponder dell’aeroplano sono stati spenti deliberatamente (dai piloti o da altri, come avvenne nel caso dell’11 settembre), o che c’è stata un’avaria elettrica totale. O che l’aereo si è addirittura disintegrato in alta quota.

Purtroppo, i segnali dei trasponder sono raccolti più o meno una volta al minuto. E solo sopra una certa quota, circa 29mila piedi (quasi 9mila metri). Questo vuol dire che, dopo che l’aereo è scomparso, potrebbe aver continuato a volare a quota più bassa – gli esperti sostengono che un 777 può planare per oltre venti minuti. Viaggiando a circa 950 km/h, in venti minuti si possono percorrere più o meno 316 chilometri: c’è dunque una superficie di oltre 315mila chilometri quadrati di oceano da scandagliare, anche perché, forse, il velivolo potrebbe aver improvvisamente cambiato rotta dopo essere scomparso. 

Per ora si può solo ribadire che, comunque, il 777 è uno degli aerei più sicuri al mondo. Dal 1995 ha eseguito oltre cinque milioni di voli. E gli incidenti sono stati pochissimi. Solo quando si individuerà il relitto del 9M-MRO e se ne recupereranno le scatole nere si riuscirà a saperne di più. Speriamo che non debbano passare due anni.

Credits immagine: Arpingstone/Wikipedia

Via: Wired.it

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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