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Perché le donne non contano

Matematica e genere è un binomio su cui  si sono espressi, a proposito e a sproposito, innumerevoli personaggi. Uno degli ultimi – in questo caso sembrerebbe a sproposito – era stato il rettore dell’Università di Harvard, Lawrence Summers, che nel 2005 aveva sostanzialmente dichiarato che la distanza tra il sesso femminile e le scienze dure era dovuta a questioni genetiche, non culturali né sociali. E per queste sue affermazioni era stato aspramente redarguito dalla comunità accademica e da una certa parte dell’opinione pubblica mondiale, producendosi poi in una sorta di marcia indietro.

Certo, il dibattito resta aperto. E parte da un dato di realtà: in tutti i test di performance relativi alla matematica, è evidente un gap tra uomini e donne, nel senso che queste ultime ottengono un punteggio più basso dei maschi. D’altra parte, i test mostrano anche che le ragazze sono globalmente più brave nei processi di lettura e comprensione di un testo. Al di là delle statistiche, questi dati hanno poi un loro riscontro nella vita vera, quando cioè si va a guardare il numero di donne che dei numeri hanno fatto una professione accademica (al Massachusetts Institute of Technology, per esempio, queste rappresentano solo l’8 per cento) o di quelle che lavorano nel campo della comunicazione, settore sempre più femminilizzato.

Cuore della polemica è per l’appunto la causa di questo gap: esistono delle diversità biologiche che impediscono alle donne di amare le cifre? Ora un gruppo di ricercatori italiani ha pubblicato sull’ultimo numero di Science uno studio che contribuisce a fare chiarezza sulla questione. Perché dimostra in modo abbastanza inequivocabile che non basta documentare le differenze, che pure ci sono, ma è necessario contestualizzarle, nei diversi paesi. In questo modo si scopre che il gap si assottiglia e addirittura si annulla in funzione del grado di emancipazione femminile. “Là dove la donna è libera e culturalmente parificata, per esempio in Islanda, la propensione verso le materie scientifiche e il successo nella matematica sono sostanzialmente identici nei due sessi”, commenta Luigi Guiso, professore di Economia allo European University Institute di Firenze, che insieme a Paola Sapienza della Northwestern University e Luigi Zingales e Ferdinando Monte dell’Università di Chicago firma l’articolo sulla rivista americana.

Alla base dell’analisi di Guiso e dei suoi colleghi ci sono i dati del Program for International Student Assessment (Pisa), una ricerca triennale dell’Ocse condotta su studenti delle medie inferiori (15 anni) che ha l’obiettivo di valutare abilità e conoscenze in diverse discipline. In particolare, nel 2003 circa 276 mila studenti provenienti da 40 paesi sono stati valutati in base a esercizi di matematica, di lettura e comprensione del testo, e risoluzione di problemi in diversi ambiti scientifici, tenendo anche presente la loro condizione socioeconomica.

Il lavoro dei ricercatori italiani è stato quello di interpretare questi dati, per ogni paese, alla luce degli indicatori di eguaglianza di genere, per esempio quelli stabiliti dal World Economic Forum. Per dare un’idea, l’Italia ha un indice di emancipazione femminile pari a 0,65, come il Messico e l’Indonesia. La Finlandia di 0,8. “Nella maggior parte dei paesi, in matematica i ragazzi hanno punteggi più alti delle ragazze”, scrivono i ricercatori. Tuttavia in 3 paesi su 40 le ragazze fanno meglio dei coetanei maschi, e in 10 paesi su 40 non si osservano differenze significative. Dunque l’ipotesi genetica comincia a vacillare.

Ma l’analisi dei dati mostra che sia maschi che femmine ottengono punteggi migliori nei paesi in cui l’equità sociale e di genere è maggiore. In posti come la Norvegia, per esempio, il gap tra i sessi per quanto riguarda la matematica è ridotto al minimo, mentre è ampio in Turchia, dove i ragazzi ottengono punteggi sensibilmente migliori. “Il nostro studio ha tre chiavi di lettura”, continua Guiso. “In primo luogo, sposta il peso dell’evidenza a favore di una spiegazione culturale di questo gap. In secondo luogo, mostra che per quanto riguarda la matematica, il miglioramento delle performances femminili non avviene a scapito di quello maschile: cioè, se le donne ottengono punteggi migliori, anche quelli degli uomini salgono”. In terzo luogo, mostra che il gap letterario, questa volta a sfavore degli uomini, è solido e costante, e non può essere certo attribuito a discriminazioni di genere, visto che è presente in tutte le società in cui la figura maschile occupa un ruolo predominante. In questo senso, allora, si potrebbe parlare di una “specializzazione” delle donne nelle faccende di lettere, che le ha portate storicamente ad avere più strumenti degli uomini.

In ogni caso, conclude Guiso, è difficile capire perché nelle società meno egualitarie dal punto di vista di genere le donne si tengano (o vengano tenute) ai margini degli studi scientifici. Probabilmente, se immaginiamo che una carriera scientifica dia un vantaggio in termini di prestigio e di potere, dunque anche economico, può accadere che le donne vengano allontanate da chi ha la forza per occupare il campo.

Elisa Manacorda

Giornalista, è direttrice di Galileo, che ha fondato nel 1996 con altri giornalisti e ricercatori. Scrive di scienza e tecnologia per le principali testate italiane. E’ docente al Master SGP della Sapienza Università di Roma, collabora con il Master in Comunicazione della Scienza dell'Università di Ferrara. Con Letizia Gabaglio è autrice di "Il Fattore X" sulla medicina di genere.

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