Ecco perché un linguaggio scorretto in politica funziona

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Credit: Gage Skidmore/Flickr

Un linguaggio aggressivo, scorretto, paga bene in termini di popolarità. Lo hanno capito i protagonisti di questa nuova stagione politica: da Trump ai sovranisti nostrani, in molti hanno fatto della lotta al politicamente corretto una bandiera. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, ma perché questo stile dialettico funziona così bene? La risposta arriva da uno studio realizzato dai ricercatori di Berkeley e Harvard, appena pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology: qualche scorrettezza inserita ad arte aiuta un oratore a sembrare non solo più autentico e sincero agli occhi dei suoi ascoltatori, ma anche più convinto delle proprie ragioni.

Cosa si intende con “politicamente corretto”

I risultati arrivano da ben nove esperimenti che hanno coinvolto un totale di 5mila persone. I ricercatori si sono concentrati sul linguaggio, più che sui temi, della politica, per poter studiare il fenomeno all’interno di entrambi i principali schieramenti americani: liberal e conservatori. Per iniziare però serviva una definizione di correttezza politica con cui lavorare, e i ricercatori hanno deciso di chiedere direttamente ai volontari che partecipavano alla ricerca. Ottenendo, dopo un lavoro di sintesi e mediazione delle risposte ricevute, la seguente definizione di politicamente corretto: “Utilizzare un linguaggio o dei comportamenti che fanno sembrare sensibili e attenti ai sentimenti del prossimo, con particolare attenzione per le persone più svantaggiate”.

Politicamente scorretto, più autentico

Basandosi sulla definizione appena ottenuta, i ricercatori hanno quindi preparato una serie di test per valutare gli effetti psicologici della scorrettezza politica. Il primo risultato ottenuto è stato comprendere come cambia la percezione di un discorso quando viene utilizzato un termine non politicamente corretto. “Il prezzo da pagare quando si usano parole politicamente scorrette è che l’oratore sarà percepito come una persona meno calorosa, ma al contempo verrà visto come più vero, e meno strategico”, spiega Juliana Schroeder, coautrice dello studio. “E il risultato è che le persone hanno meno esitazioni a seguire un leader politicamente scorretto, perché gli appare come qualcuno realmente convinto delle proprie opinioni”.

In effetti, uno degli esperimenti si è concentrato su quanto ci sembri influenzabile un interlocutore in base al linguaggio che utilizza. E i risultati hanno dimostrato che si tende a considerare più facile modificare le opinioni di chi utilizza un linguaggio politicamente corretto. Ascoltare e saper cambiare opinione, in effetti, oggi non sembra particolarmente di moda, almeno in politica.

Questione di vicinanza ed empatia

Un ultimo esperimento ha poi analizzato la differente sensibilità dei due schieramenti politici americani nei confronti del politicamente scorretto. Scoprendo che in realtà la situazione è la stessa da ambo le parti. Con buona pace dei nemici del politically correct, anche a destra non si rivelano poi così sportivi quando epiteti antipatici e scorrettezze sono indirizzati verso di loro. “La scorrettezza politica è frequentemente utilizzata contro gruppi di persone per cui i liberal tendono ad avere maggiore empatia, come gli immigrati o gli individui Lgbtq, ed è per questo che i liberal tendono a vederla come una cosa negativa e i conservatori la considerano invece pura sincerità”, conclude Michael Rosenblum, primo autore della ricerca. “Noi però abbiamo scoperto che i ruoli possono ribaltarsi quando un simile linguaggio è utilizzato per descrivere gruppi più vicini agli ambienti conservatori, ad esempio con termini come ‘bible thumper’ (epiteto dispreggiativo per indicare un fanatico religioso cristiano, Ndr) o ‘redneck’ (bifolco, Ndr)”.

Riferimenti: Journal of Personality and Social Psychology

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