Tre persone su quattro che praticano lo sci, l’alpinismo o il trekking rischiano di subire una forma lieve di edema polmonare da alta quota (Epaq). E’ quanto conclude uno studio condotto dall’équipe di George Cremona dell’Università Vita Salute del San Raffaele di Milano, in collaborazione con i ricercatori dell’ Università della California, San Diego, della Fondazione Maugeri e dell’Università di Ferrara. La ricerca, pubblicata su The Lancet, ha dimostrato che questa patologia non colpisce soltanto le persone con una predisposizione genetica. Esaminando un campione di 262 scalatori del Monte Rosa, prima e dopo il loro arrivo presso un rifugio situato a circa 4559 metri, i ricercatori hanno scoperto che circa il 15 per cento di loro mostrava segni clinici o radiologici di accumulo di liquido nei polmoni e un aumento del volume di chiusura (l’aria cioè che resta nel polmone quando le vie aeree periferiche iniziano a chiudersi nella fase finale dell’espirazione). Inoltre il 74 per cento del campione, anche se non mostrava segni di edema polmonare, presentava un aumento del volume di chiusura. “Esiste una forma sub-clinica di Epaq più frequente di quanto pensavamo” ha dichiarato Cremona. Questa si può manifestare anche dopo scalate a quote non altissime e dopo uno sforzo di media entità, quella grave, invece, colpisce dopo i 2500 metri solo il 2 – 5 per cento delle persone che scalano rapidamente. Con una spirometria, si può vedere il rischio di subire l’Epaq lieve che è maggiore in chi ha un volume di polmoni ridotto. Un consiglio comunque resta valido per tutti: salire lentamente ad alta quota per permettere all’organismo di acclimatarsi e scendere in fretta se si presentano sintomi come fame d’aria, tachicardia e tosse secca. (p.c.)
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