Pet therapy, dagli animali l’affetto che cura

L’uso terapeutico e profilattico degli animali familiari – più o meno quello che oggi chiamiamo pet therapy – ha una storia antica. Nelle medicine dei popoli primitivi gli animali hanno sempre avuto un importante ruolo curativo. Anche nell’Egitto dei Faraoni il cane era sacro al dio Anubis protettore della medicina. E animali d’affezione hanno accompagnato le divinità dei popoli Sumeri, Caldei e Greci, come alcuni santi cristiani invocati per la cura di malattie: dal gallo d’Esculapio al cane di San Rocco.

Nell’era della medicina scientifica sembrava che gli animali avessero perso questo loro potere terapeutico. Da alcuni anni però si è rivalutato il ruolo degli animali familiari nella cura e nella prevenzione delle malattie umane, con interventi dolci e che si basano soprattutto sull’affetto, sul rapporto interpersonale uomo-animale soprattutto a livello emozionale. L’emozione è infatti un importante elemento che interviene nei rapporti uomo-animale e che può avere influenza sulla salute. Niente a che fare quindi con pratiche cruente, oggi sempre più stigmatizzate dalla opinione pubblica.

Cos’è la Pet Therapy

A questo nuovo approccio del rapporto uomo-animale familiare, oggetto di numerose ricerche scien-tifiche, è stato dato il nome di Pet-Therapy, che in italiano dovrebbe essere indicata come Uso Tera-peutico degli Animali da Compagnia (UTAC) o Terapia Aiutata con gli Animali. Il termine inglese, anche se più oscuro, è il più utilizzato anche per la sua brevità. La dizione di pet therapy deriva dall’unione di due termini: pet o animale d’affezione, e therapy o terapia, cura. E’ però intrigante rilevare che pet e il suo derivato petting, significa anche coccolare, accarezzare con affetto e, quindi, uno stretto contatto fisico affettuoso, che risulta sempre più importante per comprendere taluni aspetti della pet therapy. Molti sono gli animali usati in questa terapia, accanto ai cani, gatti e cavalli (ippoterapia), oggi vi sono anche i delfini (delfinoterapia) e molti animali domestici.

Da alcuni anni, numerosi episodi, anche di cronaca, segnalano il ruolo salutare, se non terapeutico degli animali in persone con disturbi diversi, psichici e organici, soprattutto subacuti o cronici. Recentemente si è inoltre vista la possibilità di utilizzare anche animali non familiari, anche se gli animali da compagnia rimangono di gran lunga i più impiegati, soprattutto perché è più facile instaurare un rapporto con loro.

A rigore non fanno parte della pet therapy le applicazione degli animali come “appoggio” o sostituzione per deficit organici. Come gli occhiali o un bastone sono di appoggio o sostituzione di un deficit, ma non sono una “cura”, allo stesso modo i cani per non vedenti o non u-denti non sono una cura e, quindi, pur importanti, non rientrano nella pet therapy in senso stretto.

Un sostegno psichico e uno stimolo al riso e al gioco

Un’osservazione importante è stata fatta da G. Pethes in Ungheria: il suicidio tra coloro che vivono a stretto contatto con un animale familiare è praticamente assente. Sotto questo profilo – che si collega a un buon equilibrio psichico – l’amicizia di un cane o di un gatto è più importante di un cattivo rap-porto con i familiari o del loro distacco o lontananza.

Gli animali familiari sono inoltre degli ottimi stimolatori di sorrisi e non raramente di risate. Per questo si è vista la grande utilità della loro presenza per persone con stati di solitudine o di isolamento, infelicità e bassa auto-considerazione. In questi casi non solo il riso fa buon sangue, ma permette all’uomo chiuso in sé di aprirsi al mondo esterno, senza un impegno a volte stressante che deriva da un rapporto con un suo simile. Il cane o il gatto infatti offrono un amore gratuito e soprattutto non sono mai critici! Comune è vedere un adulto o un anziano che gioca con il proprio cane o gatto. Molto importante è il ruolo che gli animali hanno nel gioco – spontaneo nei bambini, e che ritorna negli adulti e negli anziani – per un buon equilibrio psichico e, soprattutto, per l’espressione della parte emotiva della psiche umana.

E’ facile intuire come sia importante la presenza di un animale espressivo ed emozionante, come appunto un cane o un gatto, ma anche, in determinate condizioni, di un cavallo o di un delfino, nella vita di persone con disturbi psichici, a patto che non abbiano avversione per gli animali o eccessiva paura delle malattie. Vale la pena di precisare che l’uso terapeutico degli animali, come qualsiasi medicina, ha le sue controindicazioni e quella ora citata è appunto una di queste.

Animali per la Terza Età

Animali e bambini: un’accoppiata vincente, ieri come oggi, soprattutto come via naturale a una sana educazione al rispetto dell’altro, come si vedrà per gli animali a scuola. Si dimentica però che ancor più importante è l’accoppiata tra animali e persone nella terza età. Gli anziani sono le persone che possono meglio di tutte sfruttare le attività profilattiche e terapeutiche degli animali familiari, non solo per la loro esperienza, ma anche per il tempo che possono dedicare loro, istituendo un intenso e utilissimo rapporto interpersonale.

Numerose ricerche sono state eseguite anche in comparazione con oggetti inanimati, anche mobili, come la televisione (e con programmi su animali). Ma questi mezzi agiscono a senso unico e si sono rivelati poco o niente efficaci. Invece si è visto che la presenza di animali familiari migliora lo stato psichico degli anziani, con innalzamento del morale, per gli stessi motivi indicati a proposito della funzione d’equilibrio psichico favorita dall’animale familiare. In molti casi vi è anche un miglioramento dello stato fisico, non solo perché quando vi è un buono stato di salute mentale è facilitata anche la salute fisica, ma anche perché un animale da accudire obbliga a muoversi. E la sedentarietà è uno dei grandi nemici dell’età matura.

Nelle comunità d’anziani un cane o gatto mascotte è utile anche per la socializzazione tra persone diverse con un effetto che è stato definito di tipo “catalitico”.

Dalla parte del cuore

È  dal 1977 che si studia l’effetto della presenza attiva di un cane, di un gatto o di altri animali familiari per combattere i mali del secolo che riguardano l’apparato cardiocircolatorio: ipertensione, infarto cardiaco e loro conseguenze. Si è visto che la presenza di un animale familiare con il quale si è in buon rapporto, e ancor più il parlare con lui, provoca un abbassamento della pressione del sangue, diversamente da quando si parla e si discute con un essere umano. La mancanza di competitività e il senso di compagnia e di sicurezza dato da un animale con il quale vi è una antica amicizia riducono la pressione del sangue, e questo può contribuire a ridurre l’uso dei farmaci.

Inoltre un cane, obbliga a fare moto per essere portato a spasso ed è ben nota l’importanza di un moto moderato, appunto come quello di far passeggiare un cane, nella prevenzione delle malattie cardiocircolatorie e nel ricupero dopo un infarto cardiaco. In questi casi vi deve essere un animale adatto: per esempio un cane non eccessivamente vivace, e soprattutto non troppo grande e pesante che obblighi il proprietario a corrergli dietro. Nelle malattie cardiocircolatorie è stato riscontrato che quando una persona passeggia sola tende a pensare ai suoi problemi, mentre quando deve seguire il suo cane è obbligato a pensare a lui, dimenticando i suoi crucci. Se poi il proprietario entra in contatto con altri animali e i loro proprietari, s’innesta un ampliamento d’interessi e anche di amicizie che sono molto favorevoli per un buono stato di salute mentale e fisica. Il meccanismo psicologico è comunque presente anche per altri animali, per esempio il gatto.

Un aiuto ospedaliero

Diversi anni fa, fece molta impressione sull’opinione pubblica la notizia che in taluni ospedali americani venissero utilizzati per la cura anche degli “animali mascotte”, un’esperienza che è stata recentemente applicata anche in alcuni ospedali italiani, soprattutto nei reparti pediatrici.

Già alla fine del secolo diciannovesimo persone affette da epilessia erano ospitate in strutture dotate di allevamenti di animali, mentre durante la seconda guerra mondiale aviatori americani feriti, soprattutto con traumi psichici, ricoverati in ospedali avevano adottato delle mascotte con favorevoli risultati. Oggi si è visto che animali familiari sono utili soprattutto come aiuti terapeutici per persone con malattie croniche o durante la convalescenza, in particolare negli anziani e nei bambini. In molti casi è anche utile permettere all’animale di casa, se esiste, di fare visita al familiare ricoverato. In questo modo si mantiene un forte legame affettivo dell’ammalato con il suo mondo normale e lo si assicura che il proprio animale sta bene e lo ricorda.

Negli ospedali gli animali-mascotte di reparto comportano un aumento di lavoro da parte del personale di assistenza che, dove è scarso come in Italia, potrebbe venire sostituito da volontari. In tutti questi casi è assolutamente necessario un perfetto stato di salute degli animali che vengono a contatto con i malati, persone cioè che possono non avere efficienti difese antinfettive.

Aggressività

Fin dal 1978 negli Stati Uniti d’America iniziarono ricerche sistematiche sull’uso degli animali nei manicomi criminali e nelle prigioni, riscontrando un’attenuazione delle tensioni psichiche e una riduzione dell’aggressività nei pazienti. Alcuni ricorderanno un film americano di qualche anno fa, Il prigioniero di Alcatraz, che raccontava proprio la storia di un detenuto che allevava canarini.

Ovviamente la presenza e l’utilizzo di animali nelle prigioni, e in analoghe condizioni di restrizione fisica e soprattutto psichica, è possibile e soprattutto utile solo in ambienti e strutture che lo concedono e in assenza di sovraffollamento di detenuti. Nelle prigioni e nei riformatori sono stati utilizzati animali diversi, incentivando i ricoverati a utilizzare il proprio tempo, ma anche a spendere denaro, per l’acquisto di acquari, gabbie, animali e loro mantenimento. Se l’inserimento degli animali è ben preparato e condotto, si osserva una maggiore cooperazione tra i detenuti e il personale di custodia, con una marcata riduzione dei fenomeni di violenza e dei tentativi di suicidio, e una conseguente riduzione degli interventi con farmaci. In questi casi è bene sottolineare che bisogna avere animali adatti all’ambiente, ma anche al carattere dei ricoverati, evitando per esempio cani tendenzialmente aggressivi e limitandosi ad animali dolci, come il gatto, ma soprattutto indirizzando i detenuti a pratiche di allevamento che sono molto importanti per ristabilire o sviluppare un legame sociale interrotto o indebolito.

La pet therapy  per la depressione

Alla morte del suo amato cane barbone Atma, Arthur Schopenhauer entrò in un periodo di nera depressione. Pochi mesi dopo aver preso un nuovo cane, il filosofo, ripresosi da quella condizione, scrisse a un amico: “Vi assicuro che a tutte le discussioni su Lotz, Botz, Waitz ed Herbart preferisco un colloquio, a tu per tu, col mio nuovo piccolo amico, un barboncino che ha appena diciassette mesi”. Quest’episodio, fornisce un’efficace dimostrazione di come un animale adatto alla personalità del padrone possa influire sul suo comportamento ed essere anche un utile rimedio alla depressione.

Diverse esperienze condotte su anziani, malati cronici, adolescenti con disturbi mentali forniscono delle prove indiscutibili circa l’effetto benefico degli animali sulle sindromi depressive. Anche in condizioni di ospedalizzazione la principale conseguenza osservata della presenza del cane o del gatto o del pappagallino è stata quella di far uscire il paziente da questo tipo di situazione psicologica negativa. Più recentemente Mara Baun (1993) ha constatato gli effetti positivi degli animali sulla depressione: in particolare ha studiato l’azione positiva d’uccellini da gabbia sulla depressione negli anziani. Studi positivi sull’uso d’animali per il controllo della depressione sono stati eseguiti da Holcomb (1992), McCulloch (1981) ed anche Stalones, e coll. (1989) hanno dimostrato un forte attaccamento delle persone depresse ai propri animali, pur avendo constatato che non esiste una significativa correlazione tra depressione e presenza in famiglia di animali.

Autismo

L’interesse dei medici verso gli animali quali aiuti terapeutici nei bambini con disturbi mentali, prima ancora che negli adulti, fu principalmente suscitato dalla pubblicazione dei lavori di Levinson, e fu successivamente alimentato dai risultati di alcuni studi sui primati. Levinson si era accorto che gli animali “catalizzavano” le interazioni umane, constatando che il rapporto tra bambino e cane ne favoriva uno più stretto con il medico, in quanto l’animale costituiva un “oggetto transizionale”.

Le ricerche di due psicologi (Harry Harlow nel Wisconsin Primate Laboratory e William Mason nel California Primate Center) sui primati hanno portato a importanti scoperte sull’affettività e sullo sviluppo comportamentale, facendo luce su alcuni meccanismi nella genesi dell’autismo e delle “sindromi da privazione”. Allevata nell’isolamento dalla nascita, senza la madre, privata di oggetti che ne stimolino l’interesse, una giovane scimmia cresce con gravi incapacità e gravi menomazioni del comportamento sociale. E anche una volta tolta dall’isolamento le sue azioni rimangono fredde e ripetitive, difficilmente si accoppia e s’interessa della prole e in ogni caso si chiude socialmente. La stessa cosa accade nell’uomo, e questa somiglianza ha consentito di utilizzare i primati quali validi modelli per lo studio d’analoghe situazioni umane.

Harlow e Mason hanno anche visto che scimmie con disturbi comportamentali possono essere aiutate da consimili di giovane età (Harlow le chiama “scimmie terapiste”), ma anche da animali di altre specie, per esempio cani. Oggetti inanimati, anche se con caratteristiche simili ad animali, i cosiddetti “fantocci”, sono invece inefficaci (Ballarini, 1994). Anche un legame affettivo interspecifico, quale può essere anche quello tra un bambino e un cane o un gatto, può costituire un importante supporto per lo sviluppo mentale e sociale degli individui. Impiegando animali da compagnia per curare giovani pazienti, Levinson ha ottenuto importanti risultati specialmente nei bambini inibiti, con comportamenti autistici e menomazioni del comportamento sociale e culturale, e ha potuto gettare le basi della “psicoterapia infantile assistita dagli animali”, basata su alcuni elementi tipici della psicologia infantile e sul rapporto bambino-animale. Nella psicologia infantile il gioco è il miglior mezzo per comunicare: attraverso l’attività ludica il bambino scopre nuovi ruoli, domina le situazioni quotidiane, acquista una progressiva autonomia. Il vantaggio dell’animale diventa evidente: il gioco è un momento chiave della relazione e costituisce il canale di comunicazione privilegiato, e come tale nasce spontaneo, naturale, senza imposizioni né regole predefinite.

Nel bambino è frequente una parziale identificazione con l’animale. L’animale, inoltre, costituisce un elemento di proiezione e di estensione del proprio io (Monti, 1991). Per il bambino è più facile raccontare i suoi problemi o esprimere i suoi sentimenti attraverso la “voce” del cane o del gatto (Cagnon, 1988). Infine, nell’interazione con un animale, il bambino può anche sviluppare un proprio autocontrollo, in quanto egli è padrone della situazione.

Le teorie di Levinson sono oggi largamente accettate. Per questo, come hanno fatto Picter Nel e Wil-liam Williams (1989), si raccomanda di fare un ampio uso di animali durante le sessioni di terapia con i bambini, ritenendoli in grado di aiutare il bambino a vincere il timore e il disagio e a essere più spontanei.

Un altro fautore della pet therapy per i bambini è stato un veterinario francese, Ange Condoret (1973, 1976), fondatore dell’Associazione Francese d’Informazione e Ricerca sull’Animale da Compagnia (A.F.I.R.A.C.). Condoret notò che il cane, il gatto, il coniglio assumevano per il bambino il ruolo di confidente, fratello, compagno di giochi. I primi risultati li ottenne con un cane in una classe con alcuni bambini, alcuni dei quali avevano gravi difficoltà nel linguaggio. In seguito al rapporto con l’animale, i bambini posero più volontà nei tentativi di articolare le loro frasi e vedere il cane reagire alla loro chiamata era uno stimolo particolarmente gratificante. Condoret verificò inoltre un miglioramento nell’accettazione degli altri e dell’ambiente circostante, e una riduzione anche dell’enuresi. Il caso di una bambina autistica fu però sorprendente: la piccola aveva mostrato durante tutto il primo anno un completo disinteresse per gli animali che erano stati introdotti nella classe e solo quando una tortora lasciata libera nella stanza le si posò vicino e poi volò via, lei, fissando lo sguardo sull’uccello, abbozzò un sorriso e con gesti e suoni nuovi cercò di comunicare (Cagnon, 1988).

Molti studi hanno confermato in modo rigoroso l’efficacia del rapporto tra il bambino e l’animale da compagnia in situazioni d’autismo. In una di queste ricerche Campbell e Katcher (1992) hanno ottenuto significativi miglioramenti in dieci bambini con gravi deficit cognitivi, cinque dei quali non parlavano del tutto, mentre gli altri usavano solo rudimentali espressioni ripetute. Durante le sessioni di trattamento con un terapeuta e un cane è stato possibile verificare significativi incrementi dell’attenzione e delle interazioni sia verso il terapeuta che verso il cane.

Studi sull’interazione tra bambino autistico e animale sono stati condotti anche da Chislaine Paquette, dell’Associazione Canadese di Zooterapia. Attraverso l’osservazione sistematica del repertorio comunicativo di bambini autistici, Paquette ha messo in evidenza che l’interesse suscitato dall’animale in questi bambini può incentivare l’utilizzo di “giochi simbolici stereotipati” (Paquette, 1992).

Animali e bambini a scuola

L’animale rappresenta per il bambino una fonte d’investimento emozionale che gli permette di rivela-re potenzialità fino a prima rimaste nascoste. Parola di Hubert Montagner, uno dei pionieri dell’etologia infantile. Ed è per questa caratteristica emotiva che gli animali iniziano a essere impiegati nell’educazione infantile, sia in condizioni normali, sia parafisiologhiche.

Fin dal 1983 Antonio Machado Teixeira, del Dipartimento di Psicologia di Parede in Portogallo, ha studiato come i cani e i gatti possano dare un sostegno ai bambini con difficoltà scolastiche. Analizzando le cause di un loro scarso rendimento a scuola, si visto che oltre all’assenza di un metodo di studio, molto importante è la scarsa motivazione per i programmi e le materie didattiche. Ma altrettanto importante è la socializzazione del bambino nella classe. Inserendo nella comunità scolastica un animale, soprattutto un cane o un gatto, e facendo in modo che s’instauri un legame affettivo con i bambini – soprattutto con quelli che hanno dei problemi d’inserimento e quindi, come conseguenza, di rendimento scolastico – si constata che l’animale agisce come elemento catalizzatore di componenti caratteriali, di stabilità affettiva ed emozionale per l’acquisizione della nozione di responsabilità e di un’organizzazione comportamentale. Attraverso questo meccanismo, si ottengono risultati scolastici migliori, dimostrati attraverso l’esame di oltre tremila casi.

Guttmann dell’Università di Vienna, che ha compiuto ricerche specifiche, conferma che gli animali possono aiutare l’integrazione del bambino nella scuola, ma non sempre si ottengono migliori risultati scolastici.

Più recentemente, gli animali sono stati inseriti direttamente nella scuola anche in ambito di Programmi di Zooantropologia, la nuova scienza che studia il rapporto dell’uomo (anthropos) con l’animale (zoo). Gli animali, ben utilizzati, sono da considerare utili nell’inserimento nella classe, soprattutto dei bambini con scarsa comunicativa e, sotto diversi aspetti, “difficili”.

Gli animali, nell’educazione scolastica, sono stati profondamente studiati in Francia dal già citato Hubert Montagner alla Facoltà di Scienze e Tecniche della Università di Besançon e all’INSERM (Isti-tuto Nazionale della Salute e della Ricerca Medica), con la collaborazione del Ministero dell’Educazione Nazionale. In proposito sono stati svolti programmi su obiettivi precisi che comprendono la presenza di uno o più animali nella classe scolastica. Ovviamente, la sola presenza di un animale non basta, bisogna che vi sia un’adeguata pedagogia, che utilizzi l’animale per sviluppare nel bambino emozioni e quindi migliorare il suo inserimento nella comunità educante. Montagner, con i suoi collaboratori, ha dimostrato che inserendo un animale in classe aumentano le capacità di atten-zione visiva dei bambini, si sazia la “fame” d’interazioni dei bambini che vogliono avere sensazioni concrete, si sviluppano comportamenti affettivi e, nel contempo, si riducono quelli di aggressività.

In questo modo si può comprendere come, con la presenza attiva e partecipata di un animale nella classe scolastica, molti bambini vadano a scuola più volentieri, partecipino con gli altri alla vita dell’ani-male e di conseguenza rendano meglio in molte materie scolastiche, ma soprattutto in quelle più strettamente legate alla biologia, educazione ambientale e sessuale.

Come animale scolastico di una classe di bambini si può utilizzare un cane, un gatto, uccellini, o un piccolo acquario. La scelta va fatta in base alle disponibilità di spazio e tipo di scuola, se questa è cittadina o rurale, e ad altri criteri contingenti. Importante, comunque, è la preparazione dell’insegnante, e proprio per questo in Francia sono stati eseguiti corsi specifici organizzati con l’appoggio del Ministero della Educazione Nazionale.

Concludendo, con un animale a casa o in classe, non è che un bambino diventi automaticamente uno scolaro modello. Con l’opportuno aiuto familiare o dell’insegnante può però, attraverso l’animale, inserirsi meglio nella famiglia e nella scuola. E così, divenuto più partecipe, migliora il rendimento scolastico.

Come funziona la pet therapy

É importante capire per questa terapia, così come per ogni altro farmaco o procedimento applicato alla salute, le modalità di azione. Le ricerche che si stanno accumulando indicano diversi meccanismi, che quasi sempre si potenziano tra loro. Vediamo, per sommi capi, quala pet therapyli sono.

Il meccanismo affettivo-emozionale della pet therapy

Il più importante meccanismo d’azione salutare del rapporto uomo-animale, sul quale si basa gran parte delle applicazioni della pet therapy, è di tipo affettivo: quanto maggiore è il legame emozionale, tanto più intensi sono i risultati benefici. L’emozione, e non soltanto quella che scaturisce dal rappor-to con un animale, agisce infatti in molte malattie.

Sulla base di recenti ricerche, tra le quali sono da citare quelle considerate da Herbert Benson dell’Harvard University (USA) nel suo libro The Relaxa-tion Response (1975), tra emozione, rilassamento ed effetti sanitari benefici (come quelli indotti dalla pet therapy) vi sono stretti legami. La tecnica del rilassamento effettuato fissando l’attenzione su di un singolo elemento auditivo o visivo, o attraverso un tranquillizzante rapporto con un animale amico, comporta una serie di modificazioni fisiologiche che sono opposte alla risposta reattiva causa di stress, soprattutto cronico. In queste condizioni si ha una diminuzione del ritmo cardiaco e respiratorio, nonché della pressione arteriosa e del tono muscolare, con modificazione anche delle onde elettroencefalografiche.

La diminuzione della pressione arteriosa è stata ben studiata e molte volte confermata nel rapporto uomo-animale amico e posta alla base di alcuni benefici effetti della pet therapy, soprattutto nelle patologie cardiocircolatorie. La diminuzione del tono muscolare spiega come diverse patologie croniche che interessano l’apparato locomotorio sono beneficamente influenzate dalla pet therapy.

Particolarmente interessanti sono le modificazioni nervose, in quanto non si limitano al rallentamento delle onde elettriche cerebrali, ma comportano anche modificazioni neuro-ormonali. Recenti ricerche hanno meglio chiarito il rapporto che vi è tra un’emozione positiva e il rilassamento neuro-psichico e somatico. Dimostrando che la risposta neuro-psichica di rilassamento è controllata dalla amigdala, una piccola struttura della dimensione e forma di una mandorla posta all’interno del cervello e che assieme all’ippocampo e all’ipotalamo (altre formazioni del cervello) costituiscono il sistema limbico. Presente e ben sviluppato in tutti i primati, questo sistema gioca un ruolo chiave nelle emozioni, nel piacere sessuale e in altre sensazioni.

L’effetto rilassante, comunque ottenuto, e quindi anche in ambito di pet therapy, ha importanti effetti sulla salute: dalle ricerche di Herbert Benson risulta un miglioramento del 75 per cento dell’insonnia, del 34 di sindromi dolorose (su base spastica) e anche una certa diminuzione dell’infertilità femminile (su base psicosomatica).

Secondo le più recenti teorie la pet thetapy o terapia con gli animali opera almeno in parte attraverso le stesse vie biochimiche della risposta di rilassamento. In altri termini un rapporto uomo-animale tranquillante, rassicurante, positivo e quindi rilassante interviene sulla produzione d’adrenalina (epinefrina) e altri ormoni cortico-steroidi od “ormoni dello stress” con il risultato finale di una minore pressione arteriosa, un ritmo cardiaco e respiratorio più lento e tutta una serie d’altri benefici.

Da tempo si sapeva che gli ormoni glicocorticoidi, elaborati sotto l’influsso di una catena di stimoli che parte dalla neuro-ipofisi, hanno un effetto immunosoppressivo e intervengono nel mantenimento di molte patologie infettive croniche. Recente è la scoperta che le endorfine, molecole che il cervello elabora sotto l’influsso di emozioni, aumentano le difese immunitarie e quindi migliorano la resistenza contro le infezioni. David Felten del Department of Neurobiology nella University di Rochester (USA) ha recentemente affermato che ogni stato mentale che modifica la attività ormonale ha la potenzialità di interferire sul sistema immunitario.

Tutto quanto ora accennato spiega come, attraverso meccanismi emozionali dei quali si stanno precisando vie nervose e basi biochimiche d’azione, oggi si ha una sufficiente spiegazione dei risultati ottenuti, con la pet therapy, nella riduzione della durata della convalescenza di malattie infettive.

Pet therapy  come stimolazione psicologica

Un intenso rapporto uomo-animale è un forte stimolo psicologico, che coinvolge diversi settori della psiche umana: comportamento sociale e meccanismi di relazione, componenti caratteriali e aspetti cognitivi. La presenza partecipata di un animale induce la persona a “uscire” dai suoi problemi, inte-ressarsi all’animale e, tramite questo, anche agli altri. Da questa partecipazione scaturiscono molti ef-fetti benefici, anche indiretti. Doversi interessare all’alimentazione di un animale, per esempio, porta anche a interessarsi alla propria alimentazione, un aspetto importante per molte malattie che danno inappetenza e svogliatezza.

I meccanismi della pet therapy

L’aspetto ludico

Un aspetto molto importante per comprendere come agisce questa terapia è il gioco, il divertimento e non raramente il ridere, che spesso ricorre nel rapporto uomo-animale. Quando un ammalato gioca con un gatto o ride per come si comporta un cane aumenta le sue possibilità di difesa e quindi di gua-rigione. Il gioco inoltre induce a movimenti ed è la migliore ginnastica.

Meccanismo psicosomatico

E’ sempre più evidente che la psiche influisce sul corpo (soma) e che moltissime malattie cosiddette fisiche hanno una componente psichica. Attraverso i citati meccanismi affettivi, emozionali, di stimo-lazione psicologica e ludici, frequentemente associati, la pet therapy svolge importanti attività di tipo psicosomatico.

Meccanismo fisico

La componente fisica della terapia è indubbiamente importante ed é sfruttata in diverse occasioni. Tipici sono gli esempi dell’equitazione terapeutica o Ippoterapia, dei giochi in acqua assieme ai delfi-ni o Delfinoterapia, delle passeggiate alle quali si deve obbligatoriamente assoggettare chi possiede un cane.

I meccanismi associati 

Nella pet therapy i singoli meccanismi agiscono quasi sempre tra loro associati, instaurando così delle dinamiche psicosomatiche. Per esempio nella Ippoterapia e Delfinoterapia la componente fisica si associa sempre a quella emotiva, di interesse per l’ambiente e per altri e di gioco. E’ questo il motivo per cui una passeggiata a cavallo è sempre più stimolante e quindi più fisiologica e salutare di una gita in bicicletta, e senza dubbio migliore – soprattutto da un punto di vista psicosensoriale – di una solitaria pedalata su di una cyclette posizionata nel bagno.

Conclusioni

E’ molto probabile che l’uomo (o meglio la donna) abbia addomesticato gli animali per compagnia e diletto più che per necessità materiali. E ancora, o meglio, soprattutto oggi che l’uomo vive in ambienti devitalizzati come la città, in famiglie di dimensioni ridottissime se non da single, questo bisogno della compagnia degli animali è ben evidente. Un animale familiare diventa un nuovo, ma al tempo stesso antico, mezzo di equilibrio mentale e di contatto con la natura. Purtroppo non è raro oggi che anche gli animali familiari diventino cittadini e quindi perdano il contatto con la natura.

Un altro rischio connesso alla presenza di animali nella famiglia è che questi subiscano le negative influenze di un ambiente innaturale, come l’isolamento in casa (per esempio il gatto di un single), divenendo loro stessi bisognosi di un equilibrio mentale esterno che solo il padrone può fornire. Per questo oggi, in alcuni casi, il padrone deve intervenire come mezzo di terapia psichica del suo animale, in una condizione quasi di man therapy perfettamente speculare alla pet therapy! In questi casi s’incomincia ad affrontare il problema a livello di coppia uomo-animale, sia per la salute mentale, sia fisica. La pet therapy come ogni altra terapia, dunque, non è una panacea che va bene per tutte le malattie: va usata a ragion veduta e soprattutto bisogna saperla usare. Senza produrre danni, se mal utilizzata anche questa può essere inefficace. Non basta infatti dare un gatto o un cane a una persona sofferente o ammalata per vederla quasi automaticamente migliorare o guarire. Tuttavia, la presenza di un animale, ben utilizzata, può essere un importante aiuto alla guarigione e, soprattutto al mantenimento della salute.

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