Covid-19: perché è importante distribuire i vaccini in modo equo

Covax

Se le nazioni più ricche aumentassero del 46% le forniture di vaccini contro Covid-19 alle nazioni a basso e medio reddito, si otterrebbe una sostanziale riduzione della mortalità e maggiore protezione da nuove varianti e nuove ondate pandemiche in tutto il mondo. Queste, in sostanza, le conclusioni di uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature Human Behaviour da parte di un’équipe di scienziati della City University of Hong Kong, in Cina. 

Il lavoro, in sostanza, corrobora la teoria secondo la quale la cosiddetta equità vaccinale è assolutamente essenziale per sopprimere le ondate pandemiche causate da nuove varianti, e che dunque le nazioni ad alto reddito, anche se solo volessero proteggere se stesse, dovrebbero al più presto aumentare le donazioni di vaccino a quelle più svantaggiate. Ovvero, detto in altre parole: fermare localmente la circolazione del virus e il contagio non sarà sufficiente ad arrestare la pandemia, e per uscirne è necessario agire a livello globale, in modo il più equo possibile.

I numeri oggi

A guardare i numeri senza tener conto della loro distribuzione geografica, le cose non sembrerebbero andare così male. Pochi giorni fa è stata somministrata la dose di vaccino numero 10 miliardi. Al momento, circa il 60% della popolazione (4,8 miliardi di persone) ha ricevuto almeno una dose di uno degli oltre 20 vaccini approvati fino a questo momento. Bene? Insomma: già lo scorso anno, quando erano state somministrate un miliardo di dosi, diversi ricercatori avevano lanciato un allarme relativo alle disuguaglianze nella distribuzione. Oggi, a fronte di una crescita di un fattore 10 nelle somministrazioni, solo il 5,5% di chi vive nelle nazioni a basso reddito ha ricevuto due dosi di vaccino. 

“Dal punto di vista di un cittadino africano”, ha detto a Nature Mosoka Fallah, fondatore di Refuge Place International, un’organizzazione di salute pubblica con sede a Bassa Town, in Liberia, “il vero significato del traguardo di dieci miliardi di dosi di vaccino è l’estrema iniquità nella distribuzione tra il nord e il sud del mondo. Fino a che non correggeremo questa disuguaglianza, continueremo a vedere nuove varianti”.

Un po’ di contesto

Purtroppo, al momento le cose non vanno ancora come sperato, e come dovrebbero. Come vi avevamo raccontato, infatti, il piano Covax, progettato dall’Oms, da Gavi (l’Alleanza globale per i vaccini), da Cepi (Coalition for Epidemic Preparedness Innovation) e partecipato da Unicef con lo scopo di distribuire equamente i vaccini in tutto il mondo, ha continuato a rivedere al ribasso i suoi obiettivi per tutto il 2021. 

Inizialmente, era prevista la consegna di due miliardi di dosi, destinate soprattutto alle popolazioni a rischio e agli operatori sanitari; il numero è stato diverse volte rivisto al ribasso, fino ad arrivare a una previsione di 1,4 miliardi di dosi. Le cifre reali sono ancora minori: al momento, dice Gavi, le dosi effettivamente consegnate sono un miliardo. I motivi sono diversi: blocchi nell’export delle dosi previste, come nel caso del Serum Institute of India (Sii), tra i fornitori principali del programma, che ha privilegiato gli approvvigionamenti interni, i problemi per scalare la produzione dei vaccini Johnson & Johnson e AstraZeneca e le incertezze sulle tempistiche per le approvazioni dei vaccini inclusi nel programma.

Proprio per questo, Gavi ha lanciato un nuovo appello per aumentare al più presto gli sforzi. “È necessario un finanziamento addizionale urgente – si legge sul sito – di almeno 5,2 miliardi di dollari […] per stabilire un Pandemic Vaccine Pool di almeno 600 milioni di dosi addizionali per fronteggiare le incertezze e i rischi nell’evoluzione del virus. I vaccini si sono dimostrati di incredibile efficacia nel prevenire i sintomi gravi della malattia; il miglior modo di proteggere i progressi fatti fino a questo momento è di aiutare il maggior numero di persone in tutto il mondo a ricevere la vaccinazione primaria”.

Le previsioni

Nello studio appena pubblicato su Nature Human Behaviour, i ricercatori hanno messo a punto un modello matematico per prevedere quali potrebbero essere le conseguenze della disuguaglianza nella distribuzione dei vaccini, qualora non venisse livellata, nei prossimi cinque anni, tenendo conto dell’evoluzione dei diversi ceppi di Sars-CoV-2 e della mobilità globale. I numeri mostrano che uno scenario (come quello attuale) in cui la maggior parte delle vaccinazioni sono somministrate alle popolazioni dei paesi ad alto reddito porta a un calo più rapido della mortalità (negli stessi paesi) nel primo anno, ma estende la durata della pandemia a livello globale. Le popolazioni vaccinate diventano infatti più vulnerabili all’aumento delle infezioni dopo il primo anno perché esiste una maggiore probabilità che emergano nuove varianti del virus nei paesi a baso e medio reddito, il che aumenta il rischio a livello globale. 


Quando finirà la pandemia?


Ed è proprio in capo a queste valutazioni che i ricercatori hanno stimato che sarebbe necessario un aumento del 46% nelle donazioni di vaccini per “bilanciare” lo scenario, frenando la diffusione di nuove varianti e portando a una sostanziale diminuzione della mortalità a livello globale. Insomma, se l’altruismo non dovesse essere una motivazione sufficientemente forte, i paesi ad alto reddito (cioè noi) dovrebbero muoversi nel loro stesso interesse. “Continuare a sovvenzionare le vaccinazioni contro Covid-19 nei paesi a basso e medio reddito – scrive Dan Yamin in un pezzo di commento associato allo studio – non è solo un obbligo morale per i paesi ad alto reddito, ma è anche una strategia da attuare nel proprio interesse a medio e lungo termine”.

Credits immagine: Mufid Majnun/Unsplash
Via: Wired.it