Una pillola digitale per capire se il paziente segue la terapia

L’occhio del Grande Fratello anche sulla nostra salute? La Food and drugs administration (Fda) statunitensi ha appena approvato la commercializzazione di Abilify MyCite, un farmaco per la terapia di alcuni disturbi psicotici – come schizofrenia e depressione grave – abbinato a un sensore biocompatibile. In pratica, se la pillola viene ingerita, il sensore trasmette un segnale che permette al medico o ai familiari di verificare che il paziente segua le cure prescritte.

Si tratta del primo traguardo di una tecnologia che potrebbe apportare notevoli vantaggi sul fronte della non aderenza alla terapia (cioè quando il paziente non prende i farmaci o non segue bene le indicazioni del medico), un fenomeno che negli Stati Uniti costa circa 100 miliardi di dollari all’anno perché comporta un aumento dei ricoveri o di interventi aggiuntivi che avrebbero potuto essere evitati.

Abilify MyCite
Abilify MyCite è frutto della collaborazione tra Otsuka, il produttore di Abilify (un normale farmaco per il trattamento di disturbi psicotici), e Proteus Digital Health, la società californiana che ha creato il sensore. La chiamano pillola digitale perché il sensore biocompatibile – costituito da rame, magnesio e silicio – è in grado di generare un segnale elettrico quando entra in contratto con i fluidi dello stomaco di una persona. “Proprio come una batteria di patate”, spiega Andrew Thompson, presidente e direttore generale di Proteus. Il sistema prevede che il paziente indossi sulla parte sinistra della gabbia toracica un patch, una specie di cerotto dotato di batteria in grado di captare il segnale elettrico, che il medico e le persone che il paziente deciderà di abilitare possono monitorare attraverso una app per smartphone. Attraverso la app vengono registrate data e ora di assunzione della compressa e il paziente può anche annotare il suo stato emotivo e altri dettagli che possono aiutare il medico a valutare l’andamento delle terapie.

Per ora non è noto il prezzo per Abilify MyCite, che sarà lanciato l’anno prossimo sul mercato, anche perché i costi e la sua diffusione potrebbero variare se si dimostrasse in grado di migliorare l’aderenza alla terapia.

I dubbi
Gli esperti sostengono che sia una scelta bizzarra per sperimentare un sistema che potenzialmente potrebbe offrire molti vantaggi per qualsiasi altro disturbo che non sia di tipo psicotico, dall’applicazione nei trial clinici al supporto a pazienti anziani che dimenticano le pillole, fino al monitoraggio di terapie rigide come quelle per malattie infettive (per esempio tubercolosi o Aids) o il controllo dell’assunzione di oppioidi in pazienti in degenza post-operatoria. Schizofrenia, disturbo bipolare e depressione, invece, annoverano tra le possibili manifestazioni la paranoia e le allucinazioni. Pertanto per questi pazienti l’idea di poter essere controllati (“Non hanno fiducia in me?”, “Cosa c’è sotto?”) potrebbe addirittura avere un effetto controproducente sulle terapie e minare il rapporto di fiducia con il medico. Una questione che non va assolutamente sottovalutata se si pensa che in alcuni casi la mancata assunzione della terapia può portare a crolli psichici che possono mettere a repentaglio la sicurezza del malato e delle altre persone.

Ma le perplessità vanno oltre il caso particolare. Se per esempio le assicurazioni sanitarie cominciassero a incentivare l’utilizzo di questi nuovi farmaci proponendo sconti sui pagamenti o tariffe agevolate in caso di adesione a una terapia digitale – si chiedono i medici americani – non si rischierebbe di cadere in un meccanismo indirettamente coercitivo anziché volontario? E quanti problemi etici emergerebbero se si cominciasse a richiedere ai pazienti psichiatrici di assumere terapie tracciabili per poter essere dimessi dalle strutture di ricovero?

La concorrenza
Quello di Otsuka e Proteus è solo il primo esempio approvato dalla Fda e per giunta non ha ancora dimostrato di essere in grado di migliorare l’aderenza alla terapia da parte dei pazienti. Tecnologie simili, però, sono in fase di test. C’è per esempio ID-Cap, un altro sistema dotato di un sensore ingeribile che monitora il consumo di oppioidi e di farmaci anti Hiv. A differenza del prodotto di Otsuka-Proteus, Id-Cap non ha bisogno di ulteriori dispositivi indossabili perché il sensore – realizzato in cloruro di magnesio e argento – può trasmettere un segnale radio a bassa frequenza che può essere captato da una semplice antenna vicino al paziente, magari integrata nei cellulari o negli orologi.

Via: Wired.it

Mara Magistroni

Nata e cresciuta nella “terra di mezzo” tra la grande Milano e il Parco del Ticino, si definisce un’entusiasta ex-biologa alla ricerca della sua vera natura. Dopo il master in comunicazione della scienza presso la Sissa di Trieste, ha collaborato con Fondazione Telethon. Dal 2016 lavora come freelance.

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