Più energia solare grazie ai virus

I virus a servizio della tecnologia in quelli che potrebbero diventare i pannelli solari di nuova generazione. Alcuni ricercatori del Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston hanno infatti pensato di usare questi microrganismi per assemblare i nanotubi di carbonio nelle celle fotovoltaiche (unità base dei pannelli solari) e aumentarne la produzione di energia. Obiettivo: risolvere un problema che, come spiegano nello studio pubblicato su Nature Nanotechnology, era rimasto finora senza soluzione.

All’interno di ogni cella, l’energia viene generata in due passi consecutivi: prima la luce solare colpisce la sua superficie, provocando la liberazione di elettroni dal materiale fotosensibile; poi gli elettroni fluiscono verso un collettore, rendendo possibile la produzione di corrente. I nanotubi di carbonio, se inseriti nella cella fotovoltaica, trasportano più velocemente gli elettroni verso l’elettrodo collettore, migliorando il funzionamento della cella stessa. Tuttavia il loro utilizzo comporta ancora dei problemi. Uno dei principali è il fatto che i nanotubi tendono a sovrapporsi l’uno all’altro, diminuendo l’efficienza del sistema.

Impedire questa sovrapposizione è il compito assegnato dai ricercatori statunitensi ai virus: gli scienziati, infatti, hanno modificato geneticamente il fago M13 (virus che infetta comunemente i batteri)  rendendolo in grado di ancorarsi ai nanotubi di carbonio per mantenerli, ben separati, al loro posto. Ma non è tutto: il virus ingegnerizzato, dopo aver montato correttamente queste strutture filiformi, le ricopre di biossido di titanio (TiO2), materiale che nel tipo di celle usate per lo studio (celle solari dye-sensitized) funge da accettore di elettroni, incrementando ulteriormente la produzione di energia elettrica.

Una volta messe alla prova, le celle con nanotubi assemblati dai virus hanno portato a un incremento della conversione di luce solare in corrente elettrica dall’8 al 10,6 per cento rispetto a quelle dello stesso tipo, disponibili in commercio. “Il modello di assemblaggio basato sui virus ha fatto sì che i ricercatori potessero stabilire un miglior contatto tra le particelle di titanio e i nanotubi di carbonio”, ha spiegato Prashant Kamat, della Notre Dame University (Chicago, Illinois), che da tempo studia le celle fotoelettrochimiche. Proprio questo contatto è essenziale per rendere più efficiente il trasporto degli elettroni verso il collettore.

Le celle fotovoltaiche utilizzate dai ricercatori per i loro test sono quelle più innovative e con i costi di produzione più bassi. Secondo gli scienziati, il nuovo metodo le renderebbe anche più appetibili sul mercato.

Riferimenti: Nature Nanotechonology doi:10.1038/nnano.2011.50  

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