Più forti senza rughe

Una grande statua viene spinta dagli schiavi su una slitta mentre un uomo lubrifica il suolo con dell’olio. La scena, rappresentata in un disegno murale egizio realizzato 2000 anni prima di Cristo, mette a fuoco uno dei più classici problemi della meccanica: la resistenza di attrito tra due superfici che scorrono l’una sull’altra e i modi per minimizzarla. Problema antico, dunque, ma ancora decisamente attuale per le sue implicazioni pratiche, per esempio la realizzazione di pneumatici più duraturi o di materiali antiusura. Un risultato assai significativo è stato ora raggiunto da un team di fisici italiani che hanno scoperto che per rendere più resistenti alcuni materiali si può manipolarne la superficie lasciando inalterata la composizione interna. Il lavoro, coordinato da Ugo Valbusa dell’Università di Genova e pubblicato su Nature Materials, è stato condotto presso l’Unità di ricerca dell’Istituto nazionale di fisica della materia (Infm), in collaborazione con l’Istituto di spettroscopia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Bologna.Qualsiasi superficie, anche la più levigata, se vista su scala atomica non è mai perfettamente piana. A livello microscopico, infatti, i corpi solidi sono generalmente ruvidi, presentano cioè ondulazioni, pori, protuberanze e una geometria che varia a seconda della loro natura. Sebbene siano rilevabili solo a partire da un ordine di pochi millesimi di millimetro, queste irregolarità condizionano numerose proprietà macroscopiche, tra cui l’attrito, che cresce all’aumentare della rugosità delle superfici aderenti. Lo studio degli scienziati italiani è stato effettuato su superfici con rugosità di tipo frattale, le cui ondulazioni sono cioè distribuite con continuità su diverse scale di lunghezza. “Se si osserva una simile superficie con ingrandimenti crescenti”, spiega Renato Buzio, ricercatore dell’Infm e membro dell’équipe di Valbusa, “si notano di volta in volta nuove ondulazioni sovrapposte a quelle preesistenti. Una superficie con rugosità frattale è molto complessa, con ondulazioni che si estendono talvolta da una scala macroscopica di alcuni millimetri a una scala microscopica di pochi milionesimi di millimetro”.Fra le superfici di tipo frattale rivestono un notevole interesse quelle cosiddette autoaffini, vale a dire quelle che, a diversi ingrandimenti, assomigliano sempre a se stesse. Come, per esempio, le superfici di frattura di molti metalli, numerosi materiali prodotti in laboratorio, i liquidi solidificati e vari manufatti industriali. “Noi abbiamo studiato proprio la risposta meccanica di materiali sintetici con rugosità di tipo frattale autoaffine, in particolare pellicole a base di carbonio o derivate dalla deposizione della molecola alfasexitienile”, sottolinea Buzio. “I test che abbiamo compiuto consistono nel deformare una superficie, posta a contatto con la sonda di un microscopio ottico, con forze esercitate dalla sonda stessa e nel misurare la deformazione indotta nel campione. Abbiamo potuto farlo utilizzando la tecnica sperimentale della microscopia a forza atomica, capace di analizzare deformazioni superficiali di qualche milionesimo di millimetro”.In questo modo i ricercatori hanno scoperto che la durezza di corpi frattali autoaffini dipende non solo dalla composizione interna.ma anche dalla forma delle loro superfici. “In sintesi”, spiega Buzio, “a parità di forza applicata, le pellicole più rugose sono risultate meno resistenti rispetto a quelle più lisce”. “Per individuare tale effetto”, puntualizza il fisico, “abbiamo dovuto progettare sonde particolari, atomicamente piatte su una scala di lunghezza di un millesimo di millimetro. Noi riteniamo comunque che effetti del genere possano essere rilevati su qualsiasi superficie autoaffine e anche con sonde di dimensioni macroscopiche, purché le deformazioni siano piccole rispetto alla rugosità. In sintesi, intervenendo opportunamente sulla superficie di molti corpi solidi le proprietà del contatto possono essere modificate apprezzabilmente”. Il campo di applicabilità di questi studi è considerevole: praticamente in tutti gli ambiti in cui entrano in campo problemi di attrito, usura e lubrificazione. La teoria del contatto fra superfici a geometria frattale è stata ad esempio applicata ultimamente nella progettazione di pneumatici per automobili. Grande interesse sull’argomento potrebbe d’altra parte provenire da industrie che producono rivestimenti sintetici antiusura, o in generale da aziende specializzate nella produzione di materiali sintetici per applicazioni meccaniche. “Un secondo campo di applicabilità”, aggiunge Buzio, “riguarda la tecnologia dei sistemi microelettromeccanici: hard-disk, accelerometri, microturbine e micromotori, interruttori miniaturizzati per fibra ottica. In tale contesto, il nostro studio potrebbe fornire utili indicazioni sui materiali da adottare per produrre questi dispositivi”.

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