Più telefonini, più democrazia

Più dell’uso delle armi, più degli sforzi di politica internazionale, per assicurare la democrazia a un paese, specie se sotto dittatura, serve il telefonino. Non uno, ma tanti, da mettere in mano alla popolazione come strumenti di lotta democratica. Per comunicare, navigare in rete e immortalare gli eventi delle rivoluzioni – come sta accadendo in queste settimane nel paesi del Nord Africa – e assicurare, indirettamente, il rispetto dei diritti umani. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sull’International Journal of Human Rights, coordinato da Indra De Soysa del Norwegian University of Science and Technology di Trondheim (Norvegia).

I ricercatori hanno studiato il legame tra i diversi tipi di strumenti di comunicazione (come telefonia fissa e mobile, Internet e televisione) e il rispetto dei diritti umani in 137 paesi. Da questa analisi è emerso che la presenza di connessioni al Web e la disponibilità di telefoni cellulari sono una garanzia in più per la democrazia e per i diritti umani, mentre non lo sono telefoni fissi e televisione. “La TV specialmente non è un sistema efficace per garantire il rispetto dei diritti umani, perché il governo può utilizzarla come uno strumento di propaganda”, ha spiegato De Soysa. “Al contrario Internet e la telefonia mobile hanno un effetto opposto e i social media sono ancora diversi perché danno alle persone accesso libero a un canale di comunicazione”. In rete, infatti, salvo oscuramenti, il controllo è limitato e le persone possono accedere alle informazioni, condividerle e avere una visione più trasparente delle situazioni politiche e sociali. Non solo: in caso di soprusi e attacchi alla popolazione, i cittadini stessi diventano reporter degli eventi, scattando foto e inviandole ai giornali o raccontando quanto accaduto in blog e sui social network.

Secondo lo studio, considerando la crescente diffusione della telefonia mobile in Africa, si tratta di un trend destinato ad aumentare e a portare un maggior rispetto dei diritti umani. Forse, spiegano i ricercatori, se questo accadrà il merito potrebbe essere anche della caduta di Saddam Hussein in Iraq, che ha innescato la serie di rivolte nel Medio Oriente e Nord Africa. “Il costo in termini di vite umane è stato alto, ma ha incoraggiato i popoli costretti sotto altri regimi repressivi a credere che è possibile liberarsi dalle dittature”, ha concluso De Soysa . “Non sto dicendo che a George Bush spetterebbe un premio per la pace, ma soltanto che è stato un evento importante e che ha contribuito a dare il via a quello che sta avvenendo adesso in Medio Oriente”.

Riferimenti: International Journal of Human Rights  doi: 10.1080/13642987.2010.518729

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