Settentrione e meridione si confermano ancora una volta staccati da differenze difficili da ridurre. Stavolta si parla di procreazione medicalmente assistita, argomento tornato prepotentemente nelle cronache dopo la decisione della Corte Costituzionale, che ha stabilito l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, procedendo con il processo di smantellamento della famigerata legge 40. Se finora le coppie che optavano per l’eterologa erano costrette a spostarsi all’estero (il cosiddetto turismo procreativo), oggi dovrebbe essere possibile effettuarla in tutto il territorio nazionale.
Il condizionale, però, è ancora d’obbligo. Perché esiste ancora una “differenza abissale”, secondo Andrea Borini, presidente della Società Italiana Fertilità e Sterilità e Medicina della Riproduzione (Sifes), “di diritti tra una coppia che accede alle tecniche di Pma al sud e una che ricorre a strutture del nord”. Mentre in Lombardia, per esempio, i centri privati eseguono il 5% degli interventi totali, in Sicilia la percentuale è del 90%. In Calabria addirittura del 100%: è molto probabile, quindi, che dal turismo procreativo internazionale si passi a un turismo procreativo nazionale, che non farebbe altro che aumentare gli squilibri già esistenti.
È per questo motivo che dieci società scientifiche hanno rivolto un appello al ministro della Salute Beatrice Lorenzin: ogni regione dovrebbe disporre di almeno un centro specializzato per la Pma, di dimensioni adeguate al bacino d’utenza. Dal punto di vista normativo, sostanzialmente, le società scientifiche chiedono che la procreazione medicalmente assistita rientri nei cosiddetti Lea (livelli essenziali di assistenza), cioè “l’insieme delle attività, dei servizi e delle prestazioni che il servizio sanitario nazionale eroga a tutti i cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket, indipendentemente dal reddito e del luogo di residenza”, secondo la definizione dello stesso ministero.
Via Wired.it
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