Pressione giù se il medico è lontano

Pressione alta? Fate bene mente locale a chi ve l’ha misurata l’ultima volta. Se è stato un medico ci sono buone probabilità che il valore rilevato sia superiore a quello reale. La pressione arteriosa di un soggetto iperteso aumenta infatti di una porzione significativa se a controllarla con lo sfigmomanometro è un medico. Lo conferma uno studio clinico, condotto dalla professoressa Piera Recalcati, primario di medicina presso l’ospedale di Lecco, presentato al Centro Ettore Majorana di cultura scientifica ‘’Ettore Majorana’’ di Erice, nell’ambito di un workshop sulle pluripatologie emergenti promosso dalla Scuola Superiore di Scienze Mediche. Gli scienziati hanno battezzato il fenomeno “effetto del camice bianco”. Difficile però stabilire a quanto ammonta l’incremento dei valori pressori: “la reazione è individuale e dipende da più fattori”, conferma l’autrice dello studio.

Ecco allora che ad aiutare la medicina, e soprattutto il paziente, arriva la tecnologia. In via sperimentale, proprio per superare “l’effetto del camice bianco”, in Lombardia è stato attivato un servizio di telemedicina per ipertesi: a un gruppo di pazienti, opportunamente selezionato, è stato affidato un misuratore elettronico e un modem. I soggetti ipertesi, possono misurarsi la pressione standosene comodamente a casa e trasmettere i dati ad un computer centrale. Il test prevede due controlli: al mattino e la sera. Il personale medico leggerà poi i dati immagazzinati e valuterà la gravità della patologia. “In questa maniera”, spiega Piera Recalcati, “siamo sicuri che i valori registrati sono quelli reali e non influenzati dallo stress emotivo: diversamente rischieremmo di somministrare farmaci a chi magari non ne ha bisogno”. Nell’ambito dello stesso studio è emerso che la stragrande maggioranza dei pazienti ipertesi, infatti, non riceve una cura farmacologica adeguata. Non mancano poi i “fai da te” e le cure interrotte.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito, recentemente, che il livello della pressione è da considerarsi normale quando equivale ai seguenti valori: inferiore o uguale a 130 mm/Hg la massima (sistolica) e inferiore o uguale a 85 la minima (diastolica). Livelli pari a 140 e 90 vanno letti come un campanello d’allarme. L’orientamento dei clinici medici per curare l’ipertensione arteriosa è oggi quello di tentare un periodo di assestamento dei livelli a valori fisiologici – in assenza di complicanze – senza terapia farmacologica, ricorrendo cioè a metodi naturali: una corretta alimentazione, seguita da una discreta attività fisica. “Spesso”, dice Recalcati, “un paziente che ha 150 di massima, riesce, senza assumere medicine, ad abbassare la pressione in pochi mesi a livelli ottimali”. Ma attenzione ai rischi associati: “un paziente che ha 140 di massima e 90 di minima ma che è anche diabetico, deve immediatamente intraprendere un’adeguata terapia farmacologica per evitare di correre rischi anche molto gravi”. Per uno stesso valore di pressione arteriosa, dunque, il rischio cambia in base alle patologie associate e di conseguenza la scelta dei farmaci.

L’ipertensione, specialmente se prolungata nel tempo, diventando una patologia cronica, si ripercuote negativamente, innanzitutto sul complesso sistema cardiovascolare: dal cuore al sistema circolatorio. Durante il workshop di Erice, il direttore dei lavori, professor Serafino Mansueto, geriatra del Policlinico universitario “Paolo Giaccone” di Palermo, ha ribadito la necessità di “riprendere l’originario rapporto esistente fra medico e paziente”: affidarsi ai più moderni ritrovati della tecnologia è un positivo passo in avanti, ma per curare patologie complesse come l’ipertensione o il diabete, “bisogna tornare a essere clinici medici del corpo e della mente”.

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