Primo via libera alla pillola dei 5 giorni dopo

Il Consiglio Superiore di Sanità (CSS) ha dato parere positivo all’introduzione in Italia della cosiddetta “pillola dei cinque giorni dopo“, in accordo con quanto avevano decretato l’Agenzia europea del farmaco (EMA) nel marzo 2009 e la Food and Drug Administration (FDA) statunitense a giugno 2010. Il farmaco è a base di un antiprogestinico, l’ulipristal, che inibisce o ritarda l’ovulazione impedendo quindi, nei 5 giorni dopo un rapporto a rischio, che i gameti si incontrino e che avvenga la fecondazione.

Per il Consiglio – a cui l’Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA) aveva chiesto un parere prima di procedere con la regolamentazione della vendita del medicinale – l’azione svolta dal farmaco è contraccezione d’emergenza, e non aborto farmacologico. È quindi compatibile con la legge 194, che regola l’interruzione di gravidanza in Italia, purché si accerti con apposito test che la donna non sia già incinta. In pratica, le donne che vorranno ricorrere alla pillola dei 5 giorni dopo dovranno prima sottoporsi al test delle beta HCG; se questo sarà negativo, munite di ricetta medica, potranno recarsi in farmacia e comprare la pillola. Quando? A questo punto dipende dall’AIFA, che deve stabilire tempi e modi della commercializzazione.

L’azienda francese che produce la pillola, HRA Pharma, ha presentato domanda di registrazione all’ente italiano già nell’agosto 2009 e nel frattempo ha iniziato a venderla in 21 paesi europei, oltre che negli Usa e in Canada.

Il parere del CSS arriva a pochi giorni dalla pubblicazione del documento a firma delle società scientifiche italiane di contraccezione in cui si ribadisce che la pillola del giorno dopo non è un farmaco abortivo (vedi Galileo).
 

1 commento

  1. LA STORIA SI RIPETE. I DIKTAT DI UNO STATO STRANIERO: LIBERIAMOCI DALL’OCCUPAZIONE VATICANA. SBATTEZZIAMOCI
    Quante volte è successo che in un certo ospedale ci fosse un solo ginecologo disponibile in quel mentre e che per di più era antiaborista, e costui pur di rispettare il suo credo religioso stava per far slittare i termini prescritti dalla legge e rendere sempre più pericolosa la pratica abortiva per la salute della madre. Questo, nella coscienza di un buon cittadino, animato da dignità civile, è vissuto come interruzione di pubblico servizio o addirittura mancato soccorso. Ve l’immaginate un medico Testimone di Geova che si rifiutasse di fare le trasfusioni di sangue a coloro che si stanno dissanguando? Sarebbe accusato di omicidio volontario. Se gli obiettori non hanno voglia di lavorare in uno Stato nel quale non si riconoscono, se ne possono pure andare a svolgere la loro professione nella Città del Vaticano. Il 13 settembre scorso, durante il congresso mondiale della Federazione Internazionale Farmacisti Cattolici in corso a Poznan, in Polonia, Ratzinger ha invitato i “suoi” farmacisti a mettere in pratica la disobbedienza civile, circa l’uso dei prodotti anticoncezionali, tipo la RU486, la pillola che sostituisce l’aborto chirurgico. Ovvia la scomunica per chi la prescrive e per chi la usa. «Nella distribuzione delle medicine – sottolinea il Pontefice – il farmacista non può rinunciare alle esigenze della sua coscienza in nome delle leggi del mercato, né in nome di compiacenti legislazioni. Il guadagno, legittimo e necessario, deve essere sempre subordinato al rispetto della legge morale e all’adesione al magistero della Chiesa”. Ignazio Marino, candidato alle primarie per la segreteria del Partito democratico, ha affermato al riguardo che “in Italia ci sono delle leggi cui i farmacisti devono obbedire. Se non si sentono in grado di obbedire alle leggi di uno Stato laico possono rinunciare ad avere una farmacia” .
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