Professione: insegnante di Pace

Johan Galtung
“I diritti umani in un’altra chiave”
Esperia, Roma 1997
pp.239, lire 20.000

Quando si parla di diritti umani di solito si pensa a due cose: agli innumerevoli soprusi compiuti nel mondo nei confronti delle persone, e alle innumerevoli difficoltà che si trovano di fronte quegli organismi internazionali che dovrebbero impedirli. Raramente ci si interroga su quali siano i diritti che dovrebbero essere garantiti giuridicamente, e su chi debbano essere i destinatari delle norme.

Questo libro di Johan Galtung si muove da questa seconda prospettiva, e lo fa nel tentativo di smontare una struttura malfunzionante per ricostruirla in modo più aderente ai reali bisogni dell’umanità. L’autore, fondatore del Peace Research Institute di Oslo e professore di Studi sulla pace all’Università delle Hawaii e di Witten/Herdecke (Germania) scrive nella prefazione: “I diritti umani sono parte di un progetto di pace che prevede la riduzione della sofferenza umana. Ma qualsiasi progetto deve essere criticato costruttivamente, per essere mantenuto in vita. Ed è questo l’argomento del mio libro”.

Il principale bersaglio di questa operazione critica è l’assioma secondo cui i diritti umani occidentali sono di fatto considerati come diritti umani universali. L’alto livello di accettazione accordato ai modelli di sviluppo occidentali (chiamati “modernizzazione”) – anche al di fuori del mondo industrializzato – implica che sia la storia sia la cultura dell’Occidente siano diventati a loro volta dei modelli. L’assioma è stato quindi accettato quasi automaticamente, senza considerare che questa asimmetria porta a una perdita di ricchezza e alla creazione di conflitti molto profondi. Un esempio: la nostra cultura, costruita su una religione monoteistica (giudaico-cristiana) che ha fatto da modello nel corso del tempo per l’istituzione di monarchie, del potere aristocratico e dello Stato, è una cultura fortemente individualistica. Inoltre, essa associa all’individualismo la verticalità, strutturando un sistema altamente competitivo che definisce vincitori e perdenti. I diritti umani diventano così “diritti individuali”, e i singoli individui gli oggetti delle norme. “Questo esclude i diritti collettivi, come i diritti dei popoli e di altri gruppi. Le donne, i gruppi di età, i gruppi indigeni, i popoli antichi, le culture non-occidentali inglobate all’interno delle società occidentali, costituiscono gruppi di questo genere, ai margini della società, spesso impegnati in sforzi per imitare le società che li soggiogano. Più che mai essi hanno bisogno dello scudo dei diritti umani per preservare e accrescere le loro caratteristiche come gruppo, non solo come individui all’interno di una certa struttura sociale. (…) I diritti dei gruppi diventano una questione urgente nel momento in cui il gruppo come unità vuole qualcosa di diverso da ciò che può essere concesso alla somma degli individui”.

Se è pericoloso esportare l’individualismo occidentale come valore assoluto questo non vuol dire che occorre disfarsene. Non si tratta di ribaltare l’asimmetria in favore dell’asimmetria opposta. Perdere la tradizione liberale dell’Occidente sarebbe un danno per tutti, ma introdurre nei diritti umani valori nati in altre culture, come per esempio il forte senso di appartenenza al gruppo dell’islamismo o della società giapponese, l’istituzione dello “zakat” dei musulmani (l’obbligo dell’elemosina ai poveri) o l’ “ahimsa”, la nonviolenza del giainismo e del buddismo, costituirebbero un grande arricchimento, e un passo nella direzione del rispetto dei veri bisogni delle persone, che sono persone diverse.

Del resto, e questa è una delle tesi più affascinanti del libro, non c’è alcun bisogno di fare regole universali buone per tutti. “Non esiste nessuna semplice soluzione istituzionale dietro l’angolo. Ciò che stiamo cercando è il denso bozzolo di una rete di diritti e di doveri reciproci (…) La soluzione non è né solo diritti né solo doveri, ma la costituzione di un contenuto normativo relativamente chiaro in alcuni campi e di intuizioni etiche in altri.” Che possono essere adottate a seconda delle circostanze e dei bisogni, anche attraverso decreti a livello locale. Un suggerimento concreto dell’autore, riguardo all’obbligo fiscale: “Potremmo facilmente immaginare qui un nuovo diritto umano: quello di stringere un patto con lo Stato, di aprire il pacchetto di servizi statali accettandone (e pagandone) alcuni e rifiutandone (e non pagandone) altri, come si fa nelle polizze assicurative”.

Questo modo di procedere, inventivo e concreto insieme, si ritrova in tutti i casi trattati nel libro: un invito a cercare ogni volta soluzioni realistiche ma allo stesso tempo in accordo con una genuina etica umanitaria.

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