Proteine su misura

    Il computer può accelerare l’evoluzione naturale progettando nuove proteine? E’ la domanda che si è posta un gruppo internazionale di ricercatori, Amos Maritan e Cristian Micheletti dell’Infm e della Sissa di Trieste, Flavio Seno dell’Infm di Padova, e Jayanth Banavar della Pennsylvania State University, che ha sperimentato al computer un modello matematico in grado di progettare proteine che ancora non esistono in natura. “Per curare malattie di origine genetica, oppure resistenti alle terapie tradizionali, sarebbe fondamentale costruire proteine che la natura ancora ‘non ha avuto tempo’ di sviluppare”, spiegano i ricercatori. Gli ultimi risultati della ricerca sono stati pubblicati a marzo sulla rivista “Physical Review Letters”.

    Da qualche tempo le proteine sono al centro dell’attenzione, soprattutto da quando alcune ricerche hanno individuato nei prioni la causa dell’epidemia della “mucca pazza” e della sua variante umana, il morbo di Creutzfeldt-Jakob. Gli studi su queste proteine “impazzite” hanno valso l’assegnazione del premio Nobel 1997 a Stanley Prusiner.

    Il “protein design”, così si chiama il settore specializzato in questo tipo di modellizzazione al computer, potrebbe rappresentare un passo importante verso la comprensione di questi fenomeni. “Risolvere il problema del design di proteine consentirà forse di prevenire mutazioni pericolose o di intervenire con la terapia giusta”, spiega Micheletti. “L’aspirazione di molti biologi, chimici e fisici è di sviluppare nuove forme proteiche più ‘stabili’, per esempio meno sensibili alle variazioni di temperatura nell’organismo, di quelle naturali. Queste ultime sono per noi un modello di partenza nell’elaborazione dei dati al computer”.

    La struttura di una proteina è caratterizzata da una particolare sequenza di aminoacidi che formano catene di diversa lunghezza. Queste si ripiegano assumendo conformazioni tridimensionali che sono all’origine della funzionalità biologica di ciascuna proteina. Per esempio, l’emoglobina ha una conformazione che le permette di catturare l’ossigeno presente nel sangue e trasportarlo nei tessuti. Altre funzioni consentono alle proteine di legarsi come anticorpi agli antigeni oppure di trascrivere il Dna nella riproduzione cellulare.

    Il gruppo italo-americano ha cercato, a partire da modelli semplificati delle proteine naturali, di individuare quali sequenze di aminoacidi potessero originare le nuove strutture proteiche. Il computer ha consentito di esplorare in modo efficace le combinazioni più plausibili degli amminoacidi secondo criteri di valutazione energetica.

    La soluzione ai problemi di “protein design” era stata già cercata, tre anni fa, da due prestigiosi gruppi di ricerca delle Università di Harvard e di San Francisco. Il gruppo di Harvard aveva persino messo in palio due casse di birra scommettendo di riuscire a fare il corretto design per 10 proteine, mentre il gruppo di San Francisco doveva verificare se il design era corretto. Con le loro strategie computazionali i ricercatori di Harvard sono riusciti a risolvere soltanto un caso sui dieci scommessi.

    L’applicazione di un metodo matematico molto sofisticato basato su tecniche “Monte Carlo” ha consentito ai fisici teorici italiani ed americani di risolvere tutti e dieci i problemi della sfida Harvard-San Francisco. Le stesse tecniche applicate a strutture realistiche di proteine concordano con la risposta trovata dalla natura nel 73% dei casi, la percentuale più alta ottenuta finora e che si situa a metà strada tra la risposta esatta (100%) e il tirare a caso (50%).

    Risultati che lasciano quindi intravedere prossimi sviluppi del settore del “protein design”. Per quanto riguarda le applicazioni, la prospettiva per le case farmaceutiche di sintetizzare nuovi farmaci a base proteica è molto allettante. Il problema, come nel caso della terapia genica, sarà sempre di più quello di definire esattamente a lungo termine le funzioni che una proteina fabbricata al computer potrebbe avere. Due proteine infatti possono interagire fisicamente allo stesso modo, ma in contesti differenti possono avere effetti molto diversi. Il loro “significato biologico”, cioè, può variare moltissimo. Sarà il computer in grado di comprendere e prevedere queste sfumature semantiche, di importanza vitale per gli organismi?

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