Quando la medicina non è testata

Come riportato da Galileo il 10 gennaio scorso, 67 volte su 100 i bambini europei sono curati con farmaci non sperimentati per l’uso pediatrico. Non collaudati sui bambini, insomma. Non è la prima volta che qualcuno solleva il problema denunciato dal British Medical Journal (http://www.bmj.com/cgi/content/full/320/7227/79), e le ragioni sono semplici. Le dosi e i rischi identificati nel corso di studi su persone adulte non è detto che coincidano con quelli di bambini e anziani, le due fette di popolazione che restano fuori dalle sperimentazioni iniziali del farmaco. Fette dalle quali potrebbero però in seguito emergere delle sorprese. In effetti, come ha indicato un gruppo tecnico dell’Oms, il 50 per cento dei farmaci consumati viene preso da persone con più di 60 anni nei Paesi dove questa fascia di età è consistente, e il 20 per cento dei ricoverati nel reparto geriatrico di un ospedale presenta sintomi riconducibili all’effetto dei farmaci prescritti. Anziani e bambini sono dunque le due aree grigie di conoscenza quando un farmaco nuovo arriva in farmacia.

Del resto, ci sono diversi motivi per lasciar fuori gli uni e gli altri dai primi collaudi. Ragioni etiche perché è insopportabile l’idea di un esperimento sulle fasce sociali più deboli. E ragioni scientifiche, perché vale con i farmaci un po’ ciò che vale con il cibo, ovvero che gli anziani metabolizzano più lentamente, consumano meno e quindi hanno bisogno di dosi più basse, mentre i bambini hanno un metabolismo a tutto vapore, così che in proporzione spesso hanno bisogno di dosi maggiori.

Ma questa è solamente una delle tante differenze possibili. In particolare, nei primi mesi di vita, c’è una sorta di assestamento della macchina biochimica del bambino che pian piano diventa assimilabile a quella dell’adulto. In altre parole, dalla nascita all’adolescenza, il cambiamento cui si assiste è di due ordini, quantitativo e qualitativo. L’apparato chimico del bambino metabolizza un farmaco più velocemente e in modo diverso. E questo può portare a delle sorprese, spesso del tutto impreviste. Per esempio, da anni è noto che i bambini e i ragazzi con meno di 16 anni corrono un pericolo a prendere un’Aspirina in caso d’influenza. Non si sa bene perché – e per la verità non si sa neanche sino a che punto sia vero – ma nei bambini influenzati o con altre malattie virali curati con prodotti a base di salicilati come l’Aspirina è molto più alto il rischio di sindrome di Reye, una rara malattia con danni seri al fegato e al cervello, praticamente assente negli adulti.

Se i bambini non possono essere coinvolti negli studi clinici iniziali sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci, quando si estende a loro l’uso di un farmaco, in genere lo si fa in base alle informazioni raccolte negli adulti. Ma non è detto che queste bastino. “Gli esperti”, scrive la Parent’s guide to childhood medicantions curata dalla American Pharmaceutical Association, “sanno che quando un bambino prende una medicina la prima volta, non è semplicemente un adulto piccolo. Non basta spezzare in due le compresse o usare un cucchiaino anziché un cucchiaio. I bambini metabolizzano i farmaci in modo diverso dagli adulti e il modo cambia col passare degli anni, passando per esempio da un bambino di due a uno di sei anni”. E più avanti: “Un produttore può non aver condotto le indagini richieste per determinare se un farmaco è sicuro ed efficace nei bambini. Questo non significa per forza che il farmaco è pericoloso o inutile per loro”. Significa solo che non sono stati fatti controlli anche nei bambini. Ciononostante, in pratica ogni giorno un medico di famiglia od ospedaliero usa nei bambini dosi ridotte di farmaci collaudati solo negli adulti.

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