Categorie: Vita

Quando le balene sapevano camminare

L’anello mancante fra i cetacei e i mammiferi terrestri è stato finalmente trovato. Gli scavi condotti in Pakistan da due spedizioni di paleontologi americani, i cui risultati sono stati pubblicati dalle riviste Science e Nature, hanno riportato alla luce reperti fossili straordinari, in grado di svelare la misteriosa storia evolutiva delle balene. I giganti del mare avrebbero un antico progenitore in comune con pecore, cervi e ippopotami. E proprio gli ippopotami – che sono ottimi nuotatori – potrebbero essere i più stretti parenti viventi delle balene.

I mammiferi hanno conquistato i mari 50 milioni di anni fa, data d’inizio di un lungo processo di adattamento alla vita acquatica che ha trasformato le zampe in pinne e discreti corridori in abilissimi nuotatori. Balene, capodogli e delfini si sono evoluti sulla terraferma per poi tornare nell’oceano, dove la vita ha avuto origine. “Le balene sono animali a sangue caldo, come noi”, spiega su Science Philip Gingerich, paleontologo dell’Università del Michigan, “tuttavia non assomigliano affatto agli altri animali a sangue caldo e per lungo tempo abbiamo ignorato chi potessero essere i loro antenati”.

Negli anni Cinquanta, alcuni studi immunologici fecero avanzare l’ipotesi di una parentela con gli artiodattili, un gruppo di animali dotati di zoccoli che include mucche, pecore, capre, cervi e ippopotami. L’ipotesi è stata recentemente confermata dalle analisi genetiche, suggerendo che gli ippopotami siano i parenti più prossimi alle balene. Tuttavia, i paleontologi – che si fidano solo dei fossili – hanno sempre trovato questa spiegazione difficile da accettare. E, sulla base di analogie morfologiche dei denti e dell’apparato uditivo, continuavano a ritenere più probabile che i cetacei derivassero da antenati comuni ai mesonichidi, ungulati carnivori oggi estinti.

C’era un unico modo per risolvere la controversia: trovare i resti fossili degli arti di un cetaceo vissuto 50 milioni di anni fa. Gli artiodattili, infatti, hanno arti diversi da ogni altra specie animale. Gingerich ha cercato questa prova per oltre 30 anni e lo scorso ottobre, inaugurando un nuovo sito di scavi in Pakistan, l’ha trovata. Le ossa estratte dalla roccia hanno 47 milioni di anni e dimostrerebbero senza incertezze che le balene hanno un antenato comune agli artiodattili. Lo stesso Gingerich, che aveva sempre abbracciato la tesi opposta, è stato costretto a ricredersi e oggi ritiene possibile che gli ippopotami siano strettamente imparentati con le balene, “più di ogni altro animale vivente”.

Le dimensioni e la forma delle ossa permettono di ricostruire anche l’aspetto di questi antichi cetacei. “Assomigliavano ai nostri leoni marini”, spiega il ricercatore americano, “pesavano tra i 400 e i 500 chilogrammi e, pur capaci di spostarsi a sobbalzi sulla terraferma, preferivano l’ambiente acquatico. Probabilmente avevano zampe palmate e usavano la coda per nuotare più rapidamente”. Sempre in Pakistan, una seconda spedizione guidata da Hans Thewissen, paleontologo dell’Università dell’Ohio, ha ritrovato i resti fossili di un cetaceo che visse 50 milioni di anni fa e che conferma la parentela con gli artiodattili. Come spiega Thewissen su Nature, questo esemplare poteva certamente camminare, forse addirittura correre.

Questi antichi cetacei terrestri rappresentano l’anello di congiunzione fra due gruppi di vertebrati apparentemente diversissimi, eppure molto vicini in termini evolutivi. La loro scoperta, oltre a chiarire molti aspetti dell’evoluzione dei cetacei, restituisce credibilità all’approccio genetico. “I paleontologi hanno spesso mostrato scetticismo nei confronti delle analisi del Dna”, ammette Gingerich, “eppure numerosi studi di questo genere avevano suggerito la stretta parentela fra le balene e gli artiodattili, che oggi sappiamo corretta. Un approccio multidisciplinare sarà di grande aiuto per costruire un quadro più preciso delle relazioni evoluzionistiche fra le specie viventi”.

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