Quanta energia in un atomo

Nel 2030 l’Islanda programma di soddisfare tutto il suo fabbisogno energetico attraverso l’idrogeno. L’isola del Nord Atlantico potrebbe diventare, così, l’avanguardia di una nuova società libera dalle risorse fossili, che sono scarse, inquinanti e concentrate in pochi punti del pianeta. Grazie all’idrogeno, infatti, si potrebbe immagazzinare l’energia prodotta da fonti primarie diversificate, rinnovabili e distribuite uniformemente sulla Terra. Almeno questo è lo scenario dipinto da uno studio del Dipartimento dell’energia statunitense. Forse un po’ troppo ottimistico. L’idrogeno infatti non è una fonte, ma un vettore di energia: cioè serve per immagazzinare e trasportare energia, non per produrla. Questo elemento si trova nell’acqua, nel gas naturale, nel petrolio e nei residui biologici che costituiscono la biomassa e da qui può essere estratto in diversi modi. Proprio queste differenti modalità però incidono sull’ambiente e sui tassi d’inquinamento. Infatti, l’idrogeno che attualmente viene sfruttato è prodotto per circa nove parti su dieci da gas naturale, cioè da una risorsa non rinnovabile e inquinante. E su questo fronte, non sono previste grandi novità, nell’immediato futuro. E’ esemplare il caso delle applicazioni nel settore degli autotrasporti: la Daimler e la General Motors, le due aziende automobilistiche che più si stanno interessando alla propulsione a idrogeno, prevedono di mettere in commercio nel giro di qualche anno dei sistemi di propulsione che ricaveranno il combustibile pulito da un carburante “sporco” (rispettivamente il metanolo e la benzina). Fiat, invece, propone un motore “a emissioni zero”, alimentato direttamente a idrogeno, ma al prezzo di aspettare un tempo più lungo (circa dieci anni). La tecnologia più di avanguardia per l’estrazione dell’energia immagazzinata nell’idrogeno è la cella a combustibile con membrana (Pem fuel cell): una membrana permeabile al passaggio di protoni, ma non di elettroni, che separa due camere contenenti l’una idrogeno e l’altra ossigeno. Nella prima, un catalizzatore al platino separa i protoni e gli elettroni che costituiscono l’atomo d’idrogeno. I protoni raggiungono l’ossigeno dell’altra camera passando attraverso la membrana, mentre gli elettroni – ai quali questo percorso è vietato – vengono fatti passare attraverso un circuito esterno. La corrente di elettroni può essere utilizzata, per esempio, per l’illuminazione o per alimentare un motore. Il processo inoltre genera calore, che si può sfruttare. Quando gli elettroni raggiungono i protoni e l’ossigeno nella camera di arrivo, si ricombinano per formare, come unico prodotto di scarto, l’acqua.Dietro le esitazioni delle case produttrici a puntare il tutto per tutto su questa strada c’è il problema principale dello sviluppo di una “economia dell’idrogeno”, che lo utilizzi, oltre che per i trasporti, anche per l’industria e per usi residenziali: il nodo delle infrastrutture. L’assenza di una rete di distribuzione non invoglia le imprese a investire su tecnologie che consentano un utilizzo diretto, e i governi non s’impegnano nella costruzione di infrastrutture, finché non sono certi che saranno utili a un cospicuo numero di utenti. Probabilmente si preferirà la strada prudente della produzione d’idrogeno da fonti per le quali esistono già le reti di distribuzione, con un parallelo sviluppo lento degli strumenti per il trasporto diretto. Solo quando questi saranno pronti, si potrà pensare a un utilizzo su larga scala dell’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili. Ma questa prospettiva si fa sempre più lontana, a meno che non ci sia un intervento significativo da parte dei governi, volto a finanziare la ricerca, a sanzionare le emissioni, e a incentivare la produzione di energia pulita. Nel frattempo si preferisce puntare su tecnologie che limitino i danni delle emissioni. Per esempio quella del sequestro della CO2: l’anidride carbonica emessa nella produzione di idrogeno da combustibili fossili viene catturata e iniettata sotto pressione nei pozzi petroliferi, dove resta confinata.“In Italia, solo negli ultimi tempi c’è stata una costante crescita di interesse per l’idrogeno da parte del mondo politico ed economico, ma è fin dagli anni Settanta che in certi ambienti scientifici si parla di idrogeno”, afferma Giuseppe Spazzafumo, docente presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Cassino e fra i fondatori del Forum Italiano dell’Idrogeno. “Come Forum abbiamo finalmente registrato l’adesione da parte delle imprese, che prima partecipavano solo con rappresentanti individuali. Inoltre siamo stati contattati da esponenti del mondo politico di vari orientamenti. Questo fa sperare che ci sia un’effettiva volontà di fare qualcosa in questa direzione”.

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