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Gravidanze indesiderate: cosa significano nei paesi in via di sviluppo

Dall’Armenia allo Zimbabwe, ogni anno in 35 paesi in via di sviluppo sono oltre 16 milioni le gravidanze indesiderate, che spesso terminano in abortidisabilità e a volte la morte. Di norma provenienti da paesi a basso reddito e con un basso livello di istruzione, a queste donne vengono di frequente negate opportunità di lavoro e la possibilità di studiare e sono quindi costrette a vivere in condizioni di forte disagio sociale. Uno studio pubblicato su Human Reproduction dell’Oxford University Press mostra che quasi il 90% di queste gravidanze potrebbero invece essere evitate con il corretto utilizzo dei moderni metodi contraccettivi.

Il gruppo di ricercatori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che ha condotto lo studio ha infatti scoperto che l’uso di metodi tradizionali di contraccezione, come il calcolo del periodo fertile, fa quasi triplicare la probabilità di una gravidanza indesiderata se confrontata con quella relativa all’utilizzo di metodi moderni, come preservativi, impianti e dispositivi intrauterini. Se poi manca totalmente la contraccezione l’aumento è di 14 volte tanto. Ciò significa che circa 15 milioni di gravidanze indesiderate su oltre 16 milioni sarebbero potute essere prevenute.

I risultati sono stati ottenuti incrociando indagini demografiche e sanitarie di donne provenienti da 35 paesi a basso e medio reddito raccolte tra il 2005 e il 2012. I ricercatori hanno scoperto che le motivazioni per cui le donne non ricorrono a contraccezione e sono di varia natura. In primis la paura di effetti collaterali e “problemi di salute”, come dichiarato dalle stesse intervistate. Ha anche giocato un ruolo fondamentale l’opposizione da parte del partner o di un’altra persona a loro vicina, seguita dall’aver sottovalutato il rischio di gravidanza e da costi troppo elevati dei contraccettivi spesso difficilmente reperibili. Per una piccola parte si è trattato infine di fatalismo, l’idea che un evento sia predeterminato dal destino, e della mancata conoscenza delle diverse tipologie di contraccezione.

“Gli operatori sanitari hanno un importante ruolo da svolgere nel rassicurare, educare e trovare i metodi che meglio si adattino a ciascun individuo. Tuttavia, gli stessi operatori sanitari di prima linea hanno bisogno di competenze e la nostra esperienza ci insegna che molti di loro hanno le stesse idee sbagliate delle donne di cui si occupano.” Sfatare i falsi miti sui metodi contraccettivi moderni”, è questa una delle strategie nazionali da mettere in atto per affrontare il problema secondo Howard Sobel, uno degli autori dello studio e coordinatore regionale per l’ufficio regionale del Pacifico occidentale dell’Oms.

L’accesso universale alla salute riproduttiva è tra gli obiettivi di sviluppo del Millennio concordati dalle Nazioni Unite nel 2005. “Di tutti gli obiettivi relativi alla sanità, l’accesso universale alla salute riproduttiva è quello che è più fuori pista. Nella prossima era, un investimento strategico, anche se costoso in anticipo, sarà molto meno caro per le famiglie, i governi e la società rispetto ad avere famiglie più numerose a causa di gravidanze indesiderate”.

Riferimenti: Human Reproduction

Credits immagine: United Nations Development Programme/Flickr CC

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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