Categorie: AmbienteVita

Quanto si muore di più a Taranto

Dunque l’ammissione del Ministro dell’Ambiente Corrado Clini era fondata: la mortalità a Taranto è significativamente aumentata in conseguenza dell’inquinamento ambientale. A confermarlo è un nuovo studio del Dipartimento di epidemiologia SSR Lazio, Università degli Studi di Napoli Federico II e Università di Firenze su Epidemiologia e prevenzione, che parla chiaro: la mortalità nei quartieri del capoluogo pugliese ha registrato un eccesso variabile tra l’8 e il 27 per cento, in ragione della distanza dagli impianti industriali dell’Ilva.

I nuovi dati sono, per certi versi, ancora più importanti di quelli relativi al progetto Sentieri, lo studio dell’Istituto superiore di sanità relativo al periodo 1995-2002, che parlava di un aumento del 10-15 per cento della mortalità per tumore e del 40-50 per cento per malattie respiratorie acute. Più importanti per almeno tre ragioni: anzitutto sono riferiti a un periodo più recente, che va dal 1998 al 2010; sono specificamente relativi all’area urbana del capoluogo (Sentieri faceva invece riferimento a tutta la regione Puglia) e costituiscono il primo vero lavoro scientifico, cioè sottoposto a peer-review, sulla relazione tra mortalità e inquinamento.

La pubblicazione, anticipata online sul sito della rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, rischia di alimentare ulteriormente le polemiche che sono divampate in questi giorni tra Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, e lo stesso Clini. La querelle si era aperta sui dati più recenti di Sentieri, quelli riferiti al periodo 2003-2008, non ancora pubblicati ufficialmente dall’Istituto Superiore di Sanità ma divulgati alla stampa proprio da Bonelli.

Lo studio odierno depositato al Tribunale di Taranto già lo scorso 30 marzo, invece, parla chiaro: “Sono stati documentati”, si legge nell’introduzione: “per l’intera città di Taranto eccessi di mortalità e incidenze di patologie tumorali”. E questo l’aveva già svelato Sentieri: quello che non era ancora disponibile, invece, era un’analisi che tenesse conto del ruolo giocato dai cosiddetti differenziali sociali, ossia del legame tra stratificazione socio-economica della popolazione e mortalità.

Utilizzando gli archivi anagrafici comunali, i ricercatori hanno esaminato 321.356 individui, etichettati con la propria zona di residenza e livello socio-economico. L’analisi ha evidenziato “un differenziale [cioè un aumento, nda] rilevante per entrambi i sessi per mortalità/morbosità totale, cardiovascolare, respiratoria, malattie dell’apparato digerente, tumori (e in particolare stomaco, laringe, polmone e vescica) con eccessi nelle classi più svantaggiate”. Ma c’è di più: sono anche stati registrati tassi più elevati per i residenti delle aree più vicine alla zona industriale.

Questi i numeri: la mortalità per tutte le cause è aumentata dell’8-27 per cento, i tumori maligni del 5-42 per cento, le malattie cardiovascolari del 10-28 per cento, le malattie respiratorie dell’8-64 per cento. Un quadro drammatico, insomma, che mette inequivocabilmente in luce i pericoli derivanti dalla scarsa attenzione all’ambiente da parte di impianti industriali altamente inquinanti come l’Ilva.

Il lavoro dei ricercatori, in ogni caso, è ben lungi dall’essere finito: “Lo studio usa solo parte di tutta la mole di dati rilevati dai periti della magistratura”, assicurano dall’Associazione italiana di Epidemiologia: “Presto pubblicheremo due nuovi lavori che forniranno ulteriori dettagli su tutta la vicenda”.

Via: Wired.it

Credits immagine: Antonio Seprano/Flickr

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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