Quasi tutto sul mammuth

Sono passati più o meno diecimila anni da quando gli ultimi mammuth lanosi vagavano per le aree selvagge dell’Eurasia e del Nord America. Ogni esemplare portava con sé un patrimonio genetico di oltre quattro miliardi di basi: informazioni fondamentali per per lo studio dell’evoluzione dei mammiferi.

Oggi, grazie a un gruppo di ricercatori della Penn State University, gran parte di quelle informazioni sono state recuperate.

Impiegando una nuova tecnologia, non solo più efficiente, ma anche più rapida ed economica di quelle finora disponibili, i ricercatori guidati da Webb Miller e Stephan C. Schuster, sono riusciti a sequenziare oltre tre miliardi di basi del Dna del Mammuthus primigenius, utilizzando peli della pelliccia di due esemplari vissuti 20 mila e 60 mila anni fa. Questi dati, riportati su Nature, permettono ora di avanzare ipotesi più precise riguardo l’evoluzione delle tre specie di elefante conosciute: il moderno elefante indiano, quello africano e il mammuth.

In particolare, la forte correlazione dimostrata fra il patrimonio genetico delle due specie di elefanti moderni e quello del loro antenato suggerisce che, pur essendosi separate nella stessa epoca in cui si divisero le linee evolutive di esseri umani e scimpanzé (circa sei milioni di anni fa), le tre specie non si differenziarono altrettanto rapidamente.

La scoperta di una scarsa variabilità genetica intraspecifica del mammuth lanoso, inoltre, suggerisce ai ricercatori che le cause della sua estinzione potrebbero risiedere in una accentuata vulnerabilità verso le malattie e nell’incapacità di adattarsi velocemente ai cambiamenti del clima.

I dati in possesso degli scienziati permettono ora di sollevare nuovi interrogativi sui fondamenti genetici di alcune caratteristiche uniche dei mammuth (come la loro capacità di sopravvivere in climi estremamente freddi) e di studiarli, per la prima volta, come se fossero animali ancora esistenti. Una prospettiva non del tutto fantasiosa: “Una volta ottenuto il genoma completo” ipotizza Schuster, “sarebbe teoricamente possibile riportare in vita una specie che gli esseri umani non hanno incontrato per poche centinaia di anni”. (l.c.)

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