Quel vizio d’origine

Tra gli impegni del nuovo Cnb potrebbe esserci anche quello di ridefinire il suo stesso ruolo, passando da quello che il giurista e bioeticista Stefano Rodotà, in un’intervista a radio radicale, ha definito “Il consiglio del principe”, a un tentativo di attribuirsi maggiore autorevolezza, come auspica Giovanni Berlinguer, per intraprendere uno scambio più intenso e proficuo con le istituzioni e un flusso di informazione verso i cittadini. Per farlo occorre, come ha suggerito un noto neurologo bioeticista, fondatore della Consulta di bioetica, Carlo Alberto Defanti, redigere i documenti in modo chiaro, comprensibile a tutti e non solo agli addetti ai lavori. Un lavoro divulgativo più capillare verso il basso, dunque, piuttosto che saltuario e  unidirezionale. Condividono questa esigenza  anche autorevoli componenti del Cnb, peraltro già al terzo mandato, tra cui il ginecologo Carlo Flamigni e il genetista Alberto Piazza.

Tuttavia, nonostante le nuove proposte e i buoni propositi, il Cnb ha un vizio di origine. Nacque, in via sperimentale, con un decreto dell’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, il 28 marzo 1990. Partendo dalla nomina di un gruppo di lavoro a cui partecipavano tre ministri, furono indicati alcuni elementi che avrebbero poi caratterizzato i 15 anni, a oggi, di attività del Cnb: la missione di offrire un quadro riassuntivo dei programmi e dei risultati della ricerca e della sperimentazione nel campo della vita e della salute dell’essere umano; la composizione orientata verso meriti o titoli accademici e una ispirazione etico-politica pluralista; i mezzi, forniti dagli Uffici della Presidenza del Consiglio.

Altre indicazioni non vi erano, ma soprattutto non è mai stata chiarita con una legge ordinaria la sfera dei rapporti e dei compiti istituzionali, il valore dei suoi atti. Il Comitato, dunque, è lasciato ancor oggi nella determinazione dei componenti alla discrezionalità del Presidente del Consiglio e, in particolare, nell’ultima nomina, ai diversi partiti politici della maggioranza e dell’opposizione. Questa incertezza di collocazione può favorire il proliferare disorganico e ridondante di altri comitati, consulte o, meglio, commissioni di esperti presso ministeri o istituzioni, spesso non comunicanti tra loro.

Il caso di Piero Welby, per esempio, ne ha suscitate almeno quattro, di cui una presso il Ministero della Salute. Mentre, si invoca, come ha fatto la bioeticista Cinzia Caporale, un’Autorità sui casi specifici e concreti, come accade in altri paesi europei, soprattutto in quelli anglosassoni, abituati più di noi a pronunciarsi pubblicamente su singole e complesse vicende che però sono significative sul piano generale.

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