Quelle carceri fuorilegge

Tre persone in sei metri quadrati, un bagno che non concede alcuna intimità, la luce elettrica accesa anche di giorno per combattere una penombra perenne, l’aria che ristagna, calda e maleodorante. Non c’è dubbio: un locale così è fuori legge e andrebbe chiuso. Eppure alla Casa Circondariale di Pistoia, il primo dei 15 istituti penitenziari visitati dal 21 giugno al 2 luglio scorso da Patrizio Gonnella, presidente di Associazione Antigone, e Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto, a vivere in quelle condizioni sono 140 detenuti, il doppio della capienza regolamentare. Alla luce di questo “paradosso penitenziario” nel quale i luoghi designati a ospitare chi delinque trasudano illegalità da ogni angolo, i due presidenti si sono incontrati in uno studio legale di Roma e hanno compilato 15 esposti indirizzati ai sindaci, ai dirigenti delle Asl e agli assessori regionali alla sanità competenti per ciascuna delle carceri visitate.

Le violazioni riscontrate e raccolte in un rapporto, presentato ieri a Roma in collaborazione con il settimanale Carta e alla presenza di alcuni parlamentari tra cui Ignazio Marino, Rita Bernardini, Guido Melis, promotore dell’idea di un’inchiesta parlamentare sulle carceri, sono moltissime. Dalle precarie condizioni igieniche di San Vittore a Milano, dove girano indisturbati topi e scarafaggi e dove la penuria di acqua calda respinge anche le migliori intenzioni di cura personale, si passa al mancato rispetto degli spazi minimi della sezione femminile di Rebibbia a Roma, dove in 25 metri quadrati stanno 12 persone, di cui molti bambini figli di detenute. Dalla ventilazione inesistente del carcere di Padova stroncata dalla porta blindata delle celle, che viene inesorabilmente chiusa a mezzanotte lasciando fuori l’ultimo filo d’aria, si arriva alla pioggia che entra dal tetto di Sollicciano a Firenze, alla luce naturale che invece fatica a infiltrarsi un po’ ovunque, alle pochissime occasioni di uscire dalla cella. Tutto ciò in contraddizione con quanto previsto dal Regolamento Penitenziario che in dieci anni di vita non è ancora mai stato applicato veramente.

Non sarà una lettura piacevole quella che aspetta i destinatari delle denunce, soprattutto i responsabili delle Asl che, con il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale, si devono occupare della salute dei carcerati come fanno per qualunque altro cittadino. “Verranno costretti a prendere provvedimenti di qualche natura entro trenta giorni dal ricevimento dell’esposto”, spiega Arturo Salerni, l’avvocato che ha curato l’azione legale, “altrimenti rischiano di venire denunciati per omissione di atti d’ufficio”. Ma cosa può fare un dirigente Asl una volta venuto a conoscenza del degrado di un carcere?  Far chiudere il reparto incriminato, per esempio, e imporre finalmente una ristrutturazione dei locali. “L’occasione dell’indulto è stata sprecata, la possibilità di mettere a norma i luoghi di detenzione adeguandoli al regolamento penitenziario quando il numero di detenuti era accettabile non è stata colta, e ora ci si ritrova con una popolazione carceraria numerosa come mai (68.200 detenuti) e un sistema al collasso” dice Gonnella.

A Padova,  per esempio, i detenuti sono in 250, centocinquanta in più rispetto ai posti disponibili, a Sulmona sono 444  in un edificio pensato per 270,  a Regina Coeli un migliaio quando sarebbero dovuti essere non più di seicento e dove esiste un’unica cucina per tutti quando il regolamento penitenziario ne impone una ogni duecento persone, a San Vittore 1.600 invece di 712, e a Poggio Reale 2.710 a fronte di una capienza di 1.347. 

Questo sovraffollamento che miniaturizza gli spazi vitali, che favorisce la diffusione di malattie, che minaccia l’equilibrio psichico di chi lo subisce fino a spingerlo troppo spesso al suicidio è lo stesso che convinse esattamente un anno fa i giudici della Corte Europea dei diritti dell’Uomo a condannare l’Italia per avere costretto una persona a scontare la sua pena in meno di tre metri quadri. Gli standard minimi fissati dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europeo parlano di sette metri quadrati per ogni detenuto in cella singola. Ancora un miraggio per le nostre carceri.

1 commento

  1. E’ questa una delle vergogne del nostro Paese, infestato da abusi, abusivismi, evasione fiscale, mafie e ‘ndrine a livello di trattativa alla pari con pezzi di Stato. E da pratiche politiche volte a proteggere nequizie di politicanti del malaffare. Dove l’onestà non ha premio come non ha prezzo, dove la rettitudine e guardata con compatimento o con dispetto. E dove appunto, last not least, la funzione rieducativa e non solo punitiva della detenzione penale è del tutto dimenticata: la privazione della libertà è già altamente punitiva, ma inevitabile. Mentre non è lecito privare il detenuto dei diritti riconosciutigli dalla Costituzione, e di un livello umano della vita quotidiana. Vergogna, vergogna, vergogna!

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