Quelle polveri che modificano il Dna

L’esposizione ad alcune polveri sottili può causare mutazioni nel Dna nel giro di tre soli giorni. Lo rivela uno studio dell’Università di Milano,  guidato da Andrea Baccarelli, docente di Biotecnologie applicate, e presentato alla conferenza internazionale 2009 dell’American Thoracic Society in corso a San Diego.

Recentemente sono stati osservati, nel sangue e in altri tessuti di pazienti con tumore dei polmoni, cambiamenti nella programmazione genica dovuti a una trasformazione biochimica, nota come metilazione. I ricercatori si sono allora chiesti se l’esposizione ad alcuni particolati (PM10, PM1, e particelle metalliche di cromo, nichel, arsenico, piombo, cadmio e manganese) possa indurre questa mutazione.

Per lo studio, il sangue di 63 volontari – neoassunti in una fonderia vicino Milano – è stato prelevato la mattina del primo giorno di lavoro e di nuovo dopo tre giorni. Le analisi dei campioni hanno mostrato significativi cambiamenti in quattro geni (p16,p53, ACP, RASSF1A), tutti associati con la soppressione dei tumori. “I cambiamenti erano visibili dopo soli tre giorni di esposizione alla materia particolata. Questo indica che ai fattori ambientali basta poco tempo per provocare una riprogrammazione dei geni potenzialmente associata con lo sviluppo della patologia oncologica”, ha spiegato Baccarelli.

La materia particolata a cui sono stati esposti i volontari è praticamente la stessa presente nell’atmosfera delle nostre grandi città. Nelle aree urbane infatti, il PM10 e le altre polveri sottili sono prodotte in gran parte dal traffico – combustione dei motori, residui dell’usura del manto stradale, dei freni e delle gomme delle auto –  e dal riscaldamento domestico. Ovviamente le concentrazioni e il tempo di esposizione non sono paragonabili e quindi neanche la velocità dell’azione sul Dna che tuttavia è la stessa.

Le mutazioni identificate dai ricercatori sono già usate come target farmacologici nella terapia contro i tumori dei polmoni e potrebbero essere reversibili. Eventuali interventi potrebbero invertire la mutazione e riportare il Dna nelle condizioni normali, riducendo il rischio dovuto all’esposizione.  “Dobbiamo ancora valutare con attenzione se e come le mutazioni siano correlate con il rischio di sviluppare un tumore e, se prevenendole o invertendole, questo rischio viene eliminato”, ha concluso, cautamente, il ricercatore italiano. (c.v.)

Riferimenti: American Thoracic Society

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