Quelle scorie che scottano

E’ il 4 marzo 1997: dopo aver percorso sui camion gli ultimi 20 chilometri, le scorie radioattive trasportate dal “treno nucleare” Castor arrivano alla loro destinazione finale, il deposito di Gorleben in Germania. Nonostante le catene umane, le trincee scavate dagli ambientalisti e i volontari che si sono cementati ai binari. Solo un mese prima una altro treno carico di rifiuti, questa volta in Francia, era deragliato. Per fortuna senza gravi conseguenze. Sono solo due episodi della cronaca degli ultimi mesi, ma ricordano quanto rimanga impellente il problema del trattamento e dello stoccaggio dei rifiuti e delle scorie radioattive. Perché anche se in Italia l’intero programma nucleare è stato cancellato dal referendum del 1987, la radioattività non segue i dettami referendari. E la minaccia delle radiazioni rimane per periodi che arrivano a centinaia di migliaia di anni.Nel nostro paese il problema era stato sollevato due anni fa dall’Anpa, l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente. “Da allora, il messaggio è stato recepito e si sta lavorando”, assicura Aldo Brondi, del dipartimento Ambiente dell’Ente per le nuove tecnologie, l’energia, l’ambiente (Enea), al IX Congresso nazionale dei geologi, il 19 aprile scorso a Roma. E sono partite le prime iniziative. La commissione Grandi rischi della Protezione civile ha per esempio costituito un gruppo di lavoro, promosso dal sottosegretario Franco Barberi, per individuare un sito nazionale adatto allo smaltimento dei rifiuti di seconda categoria. Ne fanno parte, oltre all’Enea, anche l’Enel, L’Anpa e il Servizio geologico italiano, in veste di osservatori.I rifiuti di seconda categoria sono prodotti dall’uso della radiazione a fini medici e industriali, dalle attività di ricerca e dalle centrali nucleari, mentre non rientrano in questa categoria i combustibili nucleari esauriti. La loro radioattività è relativamente bassa e si esaurisce nell’arco di 1-3 secoli. Attualmente i rifiuti di seconda categoria sono in parte raccolti, in via provvisoria, presso la società Nucleco della Casaccia, la sede Enea situata a pochi chilometri a nord di Roma. Altri sono invece stoccati direttamente nei centri di produzione, come gli istituti di ricerca, o presso le centrali nucleari.I rifiuti di terza categoria provengono invece dal trattamento delle barre di combustibile esaurito. Sono le vere e proprie scorie, ben più pericolose dei rifiuti di seconda categoria. Infatti i tempi di decadimento della loro radioattività ai livelli ritenuti comunemente accettabili sono dell’ordine dei 100 mila anni. Oggi questo tipo di rifiuti è custodito in apposite piscine connesse alle centrali nucelari. Altri, mantenuti in forma liquida, sono immagazzinati nei centri Enea di Trisaia in Basilicata e Saluggia in Piemonte. Per loro è prevista l’”inertizzazione”, un processo che li solidifica e li predispone allo smaltimento definitivo.”Una sistemazione definitiva di questi rifiuti è necessaria”, spiega ancora Brondi, “per garantire una condizione di sicurezza permanente, e ridurre al minimo il carico gestionale per le generazioni future”. E in l’Italia i motivi per affrontare questo problema con urgenza sono anche più forti che altrove. Dopo gli esiti referendari del 1987, infatti, si va progressivamente assottigliando la cosiddetta “cultura nucleare” necessaria per la gestione dei rifiuti. Un problema che non si pone in quei paesi dove il mantenimento delle centrali nucleari assicura la formazione di esperti nel settore.Ma stoccare in modo sicuro scorie che rimangono attive per centinaia di migliaia di anni non è semplice. La Comunità europea considera come condizione di tranquillità assoluta un isolamento di questi rifiuti per almeno 500 mila anni. In effetti, alcune formazioni geologiche possono rimanere stabili anche per molte decine o centinaia di milioni di anni. Tuttavia, non esistono prove della durata di manufatti (per esempio vetro, metalli o cemento utilizzati per isolare i rifiuti) per periodi altrettanto lunghi. La soluzione, già esplorata con esiti positivi, è allora quella di isolare i rifiuti “inertizzati” all’interno di parti profonde di formazioni geologiche adatte allo scopo. I rifiuti vengono stoccati dopo circa 60-70 anni dall’uscita delle barre di combustibile dal reattore. Ma è opportuno comunque che il sito di smaltimento venga individuato molto prima.Lo smaltimento geologico, assicura Brondi, sembra essere la strada più sicura, anche rispetto ad altre soluzioni proposte su scala mondiale. Per esempio, si era pensato di destinare i rifiuti radioattivi ai ghiacci antartici, o di inviarli nello spazio. Ma in quest’ultimo caso, la casistica di incidenti ai razzi è talmente alta da sconsigliarne l’attuazione. Altri studi hanno invece dimostrato l’affidabilità dell’isolamento dei rifiuti all’interno dei sedimenti oceanici, nelle fosse a oltre 6 mila metri di profondità. Ma la Convenzione di Londra vieta questo tipo di soluzione.

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