Categorie: Salute

Questione di cultura

La disuguaglianza di genere? È una questione di cultura. Ma i programmi di sviluppo continuano a ignorare il ruolo che il sistema dei valori ha in certe pratiche che violano i diritti umani. Motivo per cui gli sforzi internazionali non producono i risultati sperati. È questo il messaggio che viene dal rapporto sullo Stato della popolazione nel mondo “Punti di convergenza: cultura, genere e diritti umani” dell’Unfpa (United Nations Population Fund), presentato oggi da Aidos (Associazione italiana donne per lo sviluppo) che ne cura la versione italiana.

Secondo il rapporto infatti, a peggiorare lo stato di salute delle donne nel Sud del mondo sono spesso fattori culturali, come la percezione di un minor valore del sesso femminile che limita l’accesso all’istruzione, all’informazione, ai servizi e alle risorse, o l’imposizione di norme e pratiche culturali che possono avere conseguenze gravi sulla salute: ruoli di genere, in sostanza, che vincolano le donne a determinati compiti e ne riducono l’autonomia decisionale.

Questi i numeri. Ogni giorno 1.600 donne e più di 10 mila neonati perdono la vita per cause legate alla gravidanza e al parto. Dei 960 milioni di analfabeti, i due terzi sono donne, ragazze, bambine. Il 61 per cento delle persone che vivono con l’Hiv nell’Africa Sub-Sahariana sono donne. E ancora, su un miliardo di persone che vivono con meno di 2 dollari al giorno, tre quinti sono donne. Una donna su cinque nel mondo ha subito una qualche forma di violenza. Ogni anno 14 milioni di adolescenti diventano madri e in 9 casi su 10 si tratta di giovanissime che vivono nei paesi in via di sviluppo. Sono 51 milioni le adolescenti già sposate. Nella maggior parte dei casi sono le donne ad avere la responsabilità della cucina: quando cucinano su fuochi aperti o su stufe tradizionali respirano quotidianamente una miscela di centinaia di agenti inquinanti, responsabili di mezzo milione su 1,3 milioni di decessi femminili causati da broncopneumopatia cronica ostruttiva.

Le cause di questa situazione, evidenzia il rapporto, sono da ricercare nella mancanza di un approccio “culturalmente sensibile”. Secondo l’Unfpa, infatti, è indispensabile che i programmi di cooperazione tengano conto di tutti quei valori che influenzano il modo in cui le persone vivono e agiscono. Esempio lampante quello delle mutilazioni genitali femminili o dei matrimoni precoci che, sebbene illegali, sono perpetuati in molti paesi perché profondamente radicati nelle tradizioni. In questo caso, intervenire sui fattori culturali significa sostenere concretamente le persone che, all’interno della propria comunità, sono già propensi ad abbandonare queste pratiche (o le hanno già abbandonate). L’Unfpa sta seguendo questa linea in numerosi paesi africani, dove alcune pratiche cominciano a non essere più accettate passivamente. (r.p.)

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