Raccontare la malattia, per viverla tutta

Diciassette secondi. Tanto dura il racconto di un paziente seduto davanti a un medico per una prima visita. Una manciata di istanti per raccontare al dottore quello che non va nel proprio corpo, ma anche l’ansia e le paure che la malattia provoca nella psiche di una persona. Passato questo tempo, scatterà inevitabile la prima interruzione: ma insomma, dirà il professionista in camice bianco, in breve quali sono i sintomi? E’ questa carenza di ascolto, la mancanza di tempo e di empatia, l’incapacità di interpretare la narrazione della malattia, ciò che i pazienti lamentano di più nell’indagine condotta da Gfk Eurisko, commissionata da Pfizer Italia e presentata oggi nell’ambito della campagna “Viverla tutta“, il nuovo portale dedicato proprio alla medicina narrativa. Un luogo online, nato da una costola dello spazio dedicato negli scorsi mesi dal quotidiano repubblica.it, dove i pazienti e i caregiver, cioè coloro che si prendono cura della malattia di un congiunto e ne portano il peso, possano trovare spazio e tempo per raccontare la loro esperienza.

L’indagine, condotta su un campione di oltre 2000 persone, mostra come tra coloro che hanno o hanno avuto esperienza di malattia, in prima persona o come sostegno (quasi il 60 per cento del campione), sia fondamentale la possibilità di essere aiutato, capito e confortato. In particolare, gli intervistati ritengono che la narrazione e la condivisione dell’esperienza della malattia, anche attraverso un portale online, li aiuterebbe moltissimo a trovare consigli e informazioni (44 per cento), a superare i momenti di angoscia (41per cento), o anche solo sfogare la rabbia (35 per cento). La narrazione, prosegue ancora il rapporto Gfk, si rivela inoltre uno strumento importante anche per dare un senso all’esperienza della malattia: il racconto è ritenuto di grande aiuto per accettare la situazione e affrontarla (37 per cento) e trovarvi un senso positivo (34%). Complessivamente, giudica importante l’opportunità di raccontarsi l’86 per cento dell’intero campione degli intervistati.

Che la medicina basata sulla narrazione abbia un ruolo importante nel percorso di cura lo conferma anche Brian Hurwitz, direttore del Centro di umanizzazione delle cure del King’s College di Londra: nel corso degli ultimi 30 anni, spiega Hurwitz, il termine ‘narrativa’ ha cominciato a essere utilizzato in un modo decisamente nuovo in medicina, stimolando il personale sanitario a guardare oltre i metodi convenzionali di anamnesi clinica, per spingersi verso tecniche di anamnesi orale, colloqui più aperti e tecniche di critica letteraria, per cercare di comprendere meglio l’esperienza della malattia.

A scegliere di raccontare in prima persona la propria storia sono stati in tanti: dall’inizio della campagna Viverla tutta (nel settembre 2011) sino ad oggi, lo spazio aperto sul quotidiano online in collaborazione con il Centro Nazionale Malattie Rare (Cnmr) dell’Istituto Superiore di Sanità, l’Azienda Sanitaria di Firenze e la European Society for Health and Medical Sociology ha raccolto migliaia di storie e confessioni. “Le persone hanno rotto il tabu della privacy e hanno inviato la loro testimonianza sia sotto forma di storia/diario sia rispondendo a domande di un’intervista più strutturata”, racconta Stefania Polvani, direttore Educazione alla salute della Asl 10 di Firenze. A raccontare l’esperienza della malattia sono soprattutto i pazienti con malattie croniche (cardiovascolari o oncologiche), e i caregiver con familiari anziani colpiti da demenze. A raccogliere e interpretare le loro parole sono gli esperti del Cnmr e della Asl fiorentina, che cercheranno di “decifrare” e sistematizzare l’enorme mole di materiale, per poi riportare ai medici le richieste e le raccomandazioni emerse dalla voce dei pazienti.

Credit immagine a Olivander / Flickr

1 commento

  1. Io sono stata aiutata da specialisti che poi sono diventati miei amici. Io sono una sopravvissuta al cancro al seno, un G3 metastizzante. Il problema che sto denunciando da mesi, è la bassa qualità della vita del sopravvissuto. La legge 104 del 1992, non è applicata nel modo giusto: non ho l’art. 33 che mi consente di riposare per tre giorni a casa. Quando ho l’astenia, la fatigue del cancro, prendo la malattia e ho la decurtazione dello stipendio. Sul lavoro ho il mobbing e non sono tutelata in niente. Ed io ho subito cure devastanti, di cui 8 cicli di chemioterapia e radioterapia con notevoli sedute….. Sartre scriveva che ” l’esistenza crea la noia di esistere” ed io non comprendo questo alone di indifferenza. Mi sono ammalata nel 2007 e sono in follow-up…..se è vita questa…..Non credo.
    Rosa

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