Radiografie al laser

Sono passati più di 110 anni da quando, nel 1895 il tedesco Wilhem Conrad Roentgen mise a punto la prima “macchina” capace di “fotografare” l’interno del corpo umano. La tecnica, in oltre un secolo, ha raggiunto livelli di perfezionamento elevati. Oggi, tuttavia, la diagnostica medica per immagini potrebbe essere vicina a una svolta, grazie ai risultati conseguiti utilizzando laser ad alta intensità per la produzione di sorgenti di raggi X.”Raggi X prodotti da sorgenti generate da laser ad alta intensità hanno, infatti, consentito, nel corso di una sperimentazione, di radiografare nei topi, oltre lo scheletro, anche i tessuti molli”. Lo ha annunciato alla Fondazione Ettore Majorana di Erice, nell’ambito dei lavori della scuola internazionale di Elettronica quantistica, Jean Claude Kieffer dell’Università del Quebec. «La sperimentazione” spiega Dimitri Batani del Dipartimento di Fisica dell’Università di Milano-Bicocca, condirettore del workshop di Erice “è in una fase pre-clinica molto avanzata e potrebbe avere effetti davvero dirompenti sulla diagnostica medica”. I raggi X generati da una sorgente alimentata da laser ad alta intensità sono oggi in grado di aumentare la risoluzione di almeno cento volte il livello oggi impiegato, aggiunge Badani, e questo, oltre a consentire di ottenere immagini migliori, permette di utilizzare dosi più basse di radiazioni.La sperimentazione canadese troverebbe – a breve scadenza – applicazione pratica nella diagnostica dei tumori alla mammella. “Il sensibile incremento della capacità di risoluzione che potrebbe essere quantificata da cento a mille volte superiore a quella oggi disponibile – spiega Badani – consentirà di poter ‘fotografare’, nel corso di un esame mammografico, una formazione neoplastica dell’ordine del millimetro”. L’importanza della possibile, nuova, applicazione è racchiusa anche nella capacità – quando non è necessario incrementare il livello di risoluzione, come, ad esempio, nelle comuni lastre radiografiche per visionare le ossa dello scheletro – di ottenere la stessa risoluzione raggiunta oggi con le lastre convenzionali, impiegando, però, contestualmente, un livello nettamente inferiore di radiazioni. Questo è il presente, ma le prospettive future, sempre in campo diagnostico, sembrano essere ancora più importanti. “Si sta studiando come applicare le innovazioni tecnologiche in materia di laser anche sulle tomografie assiali computerizzate (Tac)”, anticipa il professor Sergio Martellucci, direttore della scuola di Elettronica quantistica di Erice e ordinario di Fisica all’Università di Tor Vergata, Roma. Ridurre le radiazioni assorbite negli esami come la Tac riveste un’importanza significativa: mentre per le comuni lastre radiografiche, già oggi, le dosi impiegate sono minime, anche perché si tratta di un esame istantaneo, nelle Tac le dosi assorbite sono necessariamente maggiori, proprio perché l’esame ha una durata temporale superiore. I laser ad alta intensità, sempre in campo medico, trovano applicazione anche nella produzione di sorgenti di protoni. E ancora una volta i laser promettono di compiere un salto di qualità: oggi i protoni vengono impiegati per curare alcuni particolari tipi di tumori come, ad esempio, quelli dell’occhio. Ai Laboratori del Sud di Catania, una costola dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, già da anni vengono curati pazienti affetti da neoplasia dell’occhio, mediante l’impiego di fasci di protoni generati da un acceleratore di particelle. L’acceleratore, nato per sviluppare la ricerca di base nel campo della fisica dell’alta energia, è stato adattato in base alle esigenze degli oncologi. Utilizzando invece sorgenti di protoni generati da laser ad alta intensità, si potranno curare, in futuro, anche tumori profondi, difficilmente raggiungibili, come quelli che colpiscono il cervello. “L’obiettivo è quello di raggiungere i 250 MeV (milioni di elettronvolt)” dice Badani “in modo da poter bersagliare, limitando al minimo mi danni ai tessuti attraversati, anche formazioni neoplastiche che si trovano in aree del cervello non raggiungibili con altri metodi”. I protoni, grazie alla caratteristica di liberare l’energia contenuta a fine corsa, non danneggiano i tessuti sani attraversati dal fascio.

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