Razionale ma non troppo

Razionalizzare la classificazione dei farmaci, schiacciare verso il basso i prezzi di quelli essenziali e contenere la spesa pubblica in campo sanitario. Questi alcuni dei criteri che ispirano il nuovo prontuario del farmaco in vigore da oggi. A cominciare dalla nuova suddivisione che prevede solo due fasce: la A (quella dei farmaci gratuiti ) e la C (a pagamento). I medicinali sono stati collocati nell’una o nell’altra categoria in base al rapporto costo – efficacia del farmaco fissato dal Ministero della Salute con un provvedimento di settembre scorso, dopo una lunga trattativa con le aziende. “Un negoziato che, dal punto di vista delle farmaceutiche, è stato una sorta di ricatto”, spiega Stefano Cagliano, medico del servizio 118 ed esperto di politica farmaceutica. Fatto sta che la maggior parte delle multinazionali ha accettato di adeguarsi ai nuovi prezzi facendo così rimanere i farmaci nella categoria gratuita. E oggi la fascia A risulta più ampia, con un ammontare di 4016 farmaci che lo Stato garantisce ai cittadini a meno che, come nel caso della Lombardia, non venga reintrodotto il ticket da parte delle regioni. Uno dei risultati ottenuti è quindi quello di un allineamento verso il basso dei prezzi. Ma anche la razionalizzazione dell’intero mercato: grazie a un provvedimento ministeriale dell’inizio di novembre scorso sono state eliminate le due fasce del vecchio prontuario, B1 e B2, dove si trovavano i farmaci pagati in parte dal cittadino e in parte dalle regioni. “Il prontuario non taglia ma aumenta la copertura e c’è una riduzione consistente della spesa. I cittadini devono stare tranquilli perché alcuni farmaci essenziali tornano a essere rimborsati totalmente dal servizio sanitario”, è il commento di Nello Martini, direttore del dipartimento farmaci del Ministero. Secondo le previsioni governative, la riclassificazione dei farmaci dovrebbe portare a un risparmio della spesa farmaceutica pari a 410 milioni di euro. “Tra i passaggi eclatanti dalla fascia C alla A”, puntualizza Cagliano, “ci sono antidepressivi come il Prozac e alcuni antipertensivi”. Uno cambio di categoria avvenuto con dei costi ridotti proprio grazie alla contrattazione tra Stato e industrie. In fascia A entrano anche pomate e spray che in alcune patologie sono una cura ‘indispensabile’ perché richiedono un uso ripetuto e continuativo. Altra novità importante, come spiega il medico, “è stata la cancellazione delle differenze di prezzo tra farmaci simili”. Fino a oggi, tra i medicinali non coperti da brevetto, il Servizio sanitario nazionale (Ssn) forniva i meno costosi tra quelli equivalenti (stesso principio attivo, dose e quantità). Se il cittadino ne preferiva uno più costoso la differenza era a carico suo. Non sempre però il farmaco più economico era disponibile sul territorio regionale e quindi, per evitare che il cittadino fosse costretto a pagare di più, molte regioni avevano introdotto la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, accollando allo Stato il costo del sovrapprezzo. Risultato: un aumento vertiginoso della spesa sanitaria degli ultimi anni. Per arginarlo, come ha spiegato Sirchia, il nuovo prontuario prevede che “a farmaci uguali lo Stato rimborsa prezzi uguali”.”Ma l’operazione di pulizia del prontuario doveva essere più radicale”, denuncia Cagliano. “Secondo la definizione di Sirchia, in classe C sono compresi ancora oggi farmaci importanti ma non indispensabili. In realtà, sono ancora a pagamento dei medicinali che a parità di effetto costano più di quelli compresi in fascia A, mentre tra i gratuiti figurano farmaci la cui efficacia è paragonabile all’acqua fresca come l’Enterogermina, per anni uno dei farmaci più venduti per curare le malattie diarroiche, e i cosiddetti ‘vaccini anticatarrali’, come Buccalin e Catar. E ancora, il notissimo Biochetasi”.Resta infine il problema della disponibilità dei generici. Un mercato in Italia ancora tutto da creare. Rispetto all’Europa il nostro Paese infatti resta il fanalino di coda. Se in Germania questo mercato rappresenta poco meno del 50 per cento dell’intero fatturato del settore, in Italia ci si muove intorno al 3 per cento della spesa complessiva e al 6 per cento del totale dei pezzi venduti. Tra le difficoltà da superare resta il legame dei consumatori al marchio e il fatto che si prescrivono pochi generici e che quindi non conviene avviare la filiera produttiva. Una soluzione spiega Cagliano dovrebbe venire dallo Stato che, oltre a migliorare l’informazione sui generici, dovrebbe investire di più nella pubblicità di questi farmaci. Ancora oggi un confronto tra gli investimenti in marketing e pubblicità relativi al 2001 non lascia spazio per facili ottimismi: le industrie che contano su una fitta rete di informatori del farmaco hanno speso 2000 miliardi di lire in promozione a fronte di una spesa complessiva di Stato e Regioni di soli 90 miliardi.

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