Rb2 in cabina di regia

Nella settimana dedicata alla ricerca contro il cancro arriva una buona notizia: ricercatori dello “Sbarro Institute for Cancer Research” della Temple University di Philadelphia, guidati dall’italiano Antonio Giordano, hanno scoperto il ruolo chiave del gene Rb2 nella proliferazione dei tumori al polmone e anche alla mammella. In particolare, è stato osservato che nei tumori al polmone questo gene è disattivato, ma se reintrodotto controlla altri 70 geni implicati, a vario titolo, nella crescita dei tessuti neoplastici. I ricercatori, che hanno chiamato Rb2 “regista” proprio per l’azione svolta, attivandolo direttamente nel tumore polmonare dei ratti hanno provocato una regressione della neoplasia in 450 casi su 500. Un successo del 90 per cento che Giordano definisce “spettacolare”. Lo stesso Rb2 sembra dirigere anche i meccanismi molecolari del tumore alla mammella, interferendo con i trattamenti terapeutici: “Il gene”, spiega lo scienziato, “cattura molecole e le aggancia ad altri geni che sono deputati alla regolazione dei recettori per gli ormoni estrogeni. Ma in caso di tumore al seno le cellule tumorali non esprimono più il recettore degli estrogeni, ed Rb2 invia un segnale che provoca il fallimento delle terapie”. I risultati della ricerca sono stati presentati nell’ambito dei lavori della Scuola Internazionale di Scienze Mediche del Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” di Erice, dedicati proprio ai progressi in campo oncologico. Antonio Giordano, poco più di 40 anni, originario di Napoli, prima di dirigere lo Sbarro Institute è stato allievo del Nobel James Watson, lo scienziato che 50 anni fa, assieme a Francis Crick e Maurice Wilkins, scoprì la struttura a doppia elica del Dna. Pur affermando che quello conseguito “è un risultato di estrema importanza”, il ricercatore invita alla cautela: “Finora, nella ricerca sul cancro, troppi entusiasmi si sono spenti nel momento di trasferire le terapie dai laboratori ai pazienti. Voglio, pertanto, essere sicuro di ottenere un risultato valido prima di avviare una sperimentazione clinica”, afferma il ricercatore, per il quale la sperimentazione sull’essere umano non comincerà prima del 2005. La prudenza ha una motivazione di base: secondo la American Association for Cancer Research, soltanto il 2 per cento dei farmaci sperimentati in laboratorio vengono poi impiegati per curare pazienti oncologici. “Le ragioni sono numerose”, spiega Giordano. “In laboratorio siamo noi a indurre i tumori nei ratti intervenendo sui complessi meccanismi biologici e molecolari. Nell’umano, la crescita di un tumore è causata da più fattori e anche la base genetica differisce da soggetto a soggetto. Quindi sconfiggere il tumore nell’essere umano vuol dire ‘giocare’ con più variabili”. Da qui al 2005, insieme agli scienziati guidati da Giordano, un contributo alla scoperta del ruolo chiave del gene Rb2 lo forniranno anche i Dipartimenti di Oncologia delle Università di Palermo e Siena. I due gruppi italiani concentreranno gli sforzi nel capire, fra l’altro, qual è il momento più opportuno, durante la malattia, per intervenire con la terapia genica. “In laboratorio, affiniamo una tecnica e sperimentiamo subito sui ratti”, dice Giordano, “ma sull’essere umano dobbiamo capire se è meglio intervenire in uno stadio della malattia piuttosto che in un altro per ottenere i risultati migliori”. La necessità della messa a punto di opportuni protocolli terapeutici, evidenziata da Giordano, ha trovato riscontri durante lo stesso workshop. Recenti studi italiani e statunitensi hanno dimostrato, per esempio, che in termini di efficacia terapeutica, la somministrazione sequenziale dei farmaci a pazienti oncologici produce risultati fino al 20 per cento migliori. “E’ stato osservato da più gruppi di ricerca”, dice Ignazio Carreca, oncologo medico dell’Università di Palermo, “che, impiegando gli stessi tipi di farmaci, si hanno differenze nelle risposte a secondo se si procede a una somministrazione combinata (due molecole insieme a una determinata ora) o a una sequenziale (una molecola a una certa ora e l’altra a un’altra ora)”. Lo sesso Carreca, in collaborazione con Giuseppe Comella dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli – Fondazione Pascale, ha messo a punto un protocollo terapeutico che impiega sostanze chiamate anti H2 inibitori, somministrabili per via orale, per controllare, e in moltissimi casi eliminare, due importanti effetti collaterali generati dalla chemioterapia: nausea e vomito.

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