Reportage sfocati

Una guerra seguita minuto per minuto sul campo di battaglia da chi sta a casa. Raccontata in presa diretta e vissuta in prima linea dagli ‘embedded’. I giornalisti ‘incorporati’ nell’esercito anglo – americano, in diretta anche per 12 ore di seguito dall’Iraq. Il racconto di questa guerra è soprattutto il loro, perché sono arrivati in massa – se ne contavano circa 700 – dove raramente si era spinta finora l’informazione: a pochi metri di distanza dal fuoco nemico. Il loro racconto però è fatto anche di immagini sfocate, prive di quei dettagli che nel linguaggio del Centcom (il comando centrale americano) si chiamano la ‘granulosità’ della battaglia. E questo perché gli inviati prima di partire in Iraq, vestiti come militari e allenati ai ritmi delle azioni di guerra, hanno dovuto sottoscrivere un contratto con la Difesa Usa, firmare una liberatoria. Chi sono gli ‘embedded’? Giornalisti incorporati o irreggimentati? Quanto e cosa deve pagare l’informazione per andare in prima linea? Alcune risposte si trovano nel testo del contratto firmato da chi è partito per l’Iraq e nelle linee guida rilasciate dal Dipartimento della Difesa in cui si detta il codice di comportamento da tenere sul fronte, a pena di essere rispediti a casa. In questo documento di 13 pagine diffuso il 3 febbraio scorso, il Dipartimento dice a chiare lettere che è utile che venga raccontato quanto accade in battaglia e come arruolando dei giornalisti nell’esercito ci si possa mettere al riparo dalla possibilità che le informazioni vengano distorte. Il problema per la Difesa è di bilanciare “l’esigenza di apertura ai media” e “le esigenze di sicurezza delle operazioni”. Fatte queste premesse quindi si passa a elencare le ‘round rules’, le regole di comportamento per gli inviati di guerra.La distinzione più rilevante è tra le informazioni che non si possono diffondere perché potrebbero pregiudicare le operazioni militari e quelle divulgabili. Nella prima categoria rientrano le informazioni sulle truppe che sono nei reparti al di sotto dei corpi d’armata, il numero dei velivoli nelle unità sotto i corpi di spedizione aerea. E ancora i dettagli sulle dotazioni tecniche, come artiglieria, carri armati, mezzi di sbarco, e i nomi delle installazioni militari o delle posizioni geografiche di unità militari, o i particolari sulle operazioni che devono ancora essere svolte. Sono escluse anche le informazioni sui combattimenti in corso, a meno che non sia il comandante in persona ad autorizzarle. E la lista di limitazioni va avanti.Si può parlare invece delle perdite amiche, dei nemici catturati, degli obiettivi militari sotto attacco, e ancora dare dettagli come orario, data e posizione di missioni precedenti e di azioni militari convenzionali, il numero di combattimenti aerei. Non si può dire quali siano le forze coinvolte nei combattimenti: difesa aerea, fanteria, unità blindate oppure marines. Non solo: se i giornalisti arruolati in prima linea vengono a conoscenza di informazioni sensibili, è prevista anche una forma di censura successiva. L’articolo o il servizio che contiene informazioni del genere, verrà rimaneggiato e le informazioni riservate cancellate. Un caso raro, visto che i militari per loro stessa ammissione cercano di controllare le notizie alla fonte, attraverso comunicati e conferenze stampa, ma comunque previsto: “Il personale militare Usa dovrà proteggere le informazioni segrete da divulgazioni non autorizzate o involontarie. I rappresentanti dei mezzi di informazione cui è stato fornito accesso a informazioni sensibili, che non sono segrete ma che potrebbero essere di aiuto nelle operazioni per un avversario o che, quando combinate con altre notizie, potrebbero rivelare informazioni segrete, saranno informati prima dal comandante dell’unità o dal/la suo/a rappresentante designato/a circa le restrizioni sull’uso o la divulgazione di tali informazioni. In caso di dubbio, i rappresentanti dei mezzi di informazione si consulteranno con il comandante dell’unità o il/la suo/a rappresentante designato/a”, si legge nel documento statunitense. Di fatto però sia su quali sono le informazioni sensibili che sugli effetti collaterali che eventualmente potrebbero determinare, c’è piena discrezionalità. Oltre alle informazioni, poi, c’è un altro aspetto delicato che riguarda la liberatoria. Gli embedded hanno sottoscritto un documento in cui affermano che “qualunque cosa accada loro non possono rifarsi sull’esercito” e “che sono esposti a tutti i rischi cui sono esposti i militari”. Dichiarazioni in netto contrasto con quanto si afferma nel protocollo aggiuntivo della Convenzione di Ginevra, che recita che i giornalisti inviati di guerra sono dei civili. Dubbio dunque lo status degli inviati ‘embedded’ come anche la possibilità di fare informazione libera e controinformazione a queste condizioni. Quello sottoscritto per la guerra in Iraq non è il primo accordo formalizzato tra esercito e giornalisti (degli accordi c’erano già per esempio nel 1991) ma questa volta la Difesa Usa ha reso le norme più stringenti, e ha allargato il contratto a un numero ingente di giornalisti.

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