Ricerca Ogm: avanti tutta o moratoria?

Libertà della scienza e per la scienza. Per questo illustri scienziati dai nomi altisonanti sono usciti dai laboratori e sono approdati alla Camera dei Deputati, nella cui biblioteca hanno riunito giornalisti e addetti ai lavori per sensibilizzare il pubblico al loro appello. Un grido ascoltato da più parti: i politici (da Berlusconi a Rutelli), i mass media e l’opinione pubblica che si interroga sul tema del giorno. Ovvero sul fatto che “la ricerca italiana in campo agroalimentare versa in una situazione drammatica”, come si legge nelle prime righe dell’appello. E che “la sua stessa sopravvivenza è messa a repentaglio da alcune iniziative dell’On. Pecorario Scanio”. Colpevole di aver sospeso gli esperimenti di coltura in campo aperto di semi geneticamente modificati in nome del “principio di precauzione”, condivisibile ma, in questa occasione, utilizzato con troppa severità. Tanto da imbavagliare la libertà di ricerca degli scienziati. Lo scenario appare chiaro: politica contro scienza. Eppure esiste un altro appello firmato da ricercatori di tutto il mondo che va in direzione opposta a quello italiano. Pubblicato sulle pagine del sito dell’Institute of Science in Society, questo “controappello” chiede da una parte la moratoria immediata per tutti i prodotti e i semi Ogm per almeno cinque anni e la sospensione dei brevetti sui geni modificati, dall’altra invoca uno sforzo mondiale per indagare sul futuro dell’agricoltura e della sicurezza alimentare.

Che l’Italia non brilli nel panorama dei finanziamenti alla ricerca, soprattutto quella di base, non è certo una notizia. Lo scorso 28 giugno i rappresentanti dei maggiori enti di ricerca e delle università avevano rivolto un appello al Capo dello Stato e al governo. Nel documento si chiedeva un maggiore finanziamento in vista della finanziaria. Quell’appello portava firme importanti, come quella di Carlo Rubbia. Eppure allora non si levarono scudi in difesa del diritto dei ricercatori di vedere finanziati dallo Stato i loro progetti di ricerca senza doversi rivolgere alle industrie o scappare in paesi più benevoli. I più maligni insinuano che a giugno le elezioni erano lontane (lo erano forse anche il 5 novembre scorso, data in cui l’appello dei 1000 è apparso per la prima volte sulle pagine dell’inserto domenicale de Il Sole 24 Ore) o, più semplicemente, che della ricerca di base nuda e cruda importa a pochi, mentre l’opinione pubblica è più sensibile agli alimenti geneticamente modificati.

Sulla libertà della scienza pochi possono obiettare. D’altronde, come ci ha ricordato Edoardo Boncinelli durante la conferenza alla Camera, “la scienza è l’esercizio del pensiero critico e della logica, è la base della democrazia”. Sull’esigenza che la ricerca vada finanziata ancora meno possono esserci dei dubbi. Si, ma quale ricerca? Quella di base, la precompetitiva o quella competitiva. In altre parole, bisogna sostenere l’opera degli scienziati che lavorano per amor di scoperta, a volte scoprendo cose che non andavano cercando? O il loro sforzo per applicare le scoperte a delle esigenze concrete? O ancora la possibilità per queste “soluzioni” di entrare sul mercato con un marchio, e quindi un padrone? Purtroppo le biotecnologie agroalimentari mostrano il fianco ad attacchi pesanti rispetto al coinvolgimento dei ricercatori negli interessi delle multinazionali, per adesso le uniche a vedere nella modificazione genetica delle piante un vantaggio. Primo fra tutti quello economico derivante dal deposito di un brevetto. “La proprietà intellettuale, riconoscendo un dominio privato sulla ricerca, la riconduce nel mercato sottomessa alla legge della domanda e dell’offerta”, commentano amaramente i ricercatori del gruppo Laser, Laboratorio scienza epistemologia e ricerca. A cui fa eco Elena Del Grosso, genetista all’Università di Bologna e una delle firmatarie dell’appello pre la moratoria. “Così riconduciamo tutta la scienza all’industria”. Ma a chi ha parlato delle multinazionali, gli scienziati riuniti alla Biblioteca della Camera hanno risposto sdegnati, come se la commistione fra scienza e mercato non li riguardasse (eppure alla pagina esperti del sito della Novartis Italia troviamo i nomi di Edoardo Boncinelli, Renato Dulbecco, Giuliano D’Agnolo, Francesco Sala e di molti altri).

Chiara quindi la posizione dei 1000 (diventati nel frattempo almeno 1500): l’Italia non può rimanere indietro nella sperimentazione delle piante geneticamente modificate e lo Stato non può impedire agli scienziati l’avanzamento del loro lavoro. “Se ci sono dei rischi i finanziamenti pubblici potrebbero in qualche modo garantire i consumatori”, ha infine detto Boncinelli. E su questa strada si è mosso il governo che nel pomeriggio di mercoledì ha ricevuto una delegazione degli scienziati e stabilito l’avvio di una sola coltivazione in campo aperto strettamente sorvegliata. L’opera di mediazione è riuscita, ma rimane a monito l’appello dei ricercatori contro gli Ogm che recita: “i brevetti sugli esseri viventi minacciano la sicurezza del cibo, sanciscono la biopirateria di patrimoni genetici indigeni, violano i diritti umani di base, compromettono la salute, impediscono la ricerca medica e scientifica”. Ma come è possibile? “Il problema”, ci risponde Del Grosso, “è che gli esseri viventi e il materiale genetico di cui sono costituiti sono per propria natura impredicibili. Non possiamo sapere, in altre parole, come si evolveranno le modifiche che facciamo e come si stabilizzeranno nell’ambiente in cui li introduciamo”. E se per le modifiche a breve termine i test possono dirci qualcosa (loro propongono per questo una moratoria di cinque anni), per quelle a lungo termine nessuno può fare niente: è una responsabilità che la scienza e la politica si devono prendere a occhi chiusi.

Infine alla conferenza è stato sottolineato, soprattutto nell’intervento di Angelo Spena, ordinario di biologia molecolare vegetale all’Università di Verona, che la ricerca in questo campo va finanziata in modo da poter intensificare le colture e aiutare così a risolvere il problema della fame nel mondo. Nel secondo appello invece leggiamo: “i semi Ogm non aiutano né i coltivatori ne i consumatori”. Chi di questi problemi si occupa da anni è la Fao che ha scomodato lo scorso marzo addirittura il suo numero tre, Hartwig de Haen capo del Dipartimento economico e sociale, per dichiarare che il “principio di precauzione” è quello che deve prevalere in questa fase ancora di studio. Come peraltro si legge in un rapporto che la stessa organizzazione ha reso noto un mese dopo. I pareri sono quindi diversi, come pure sembra le verità. Per questo l’idea proposta dai 1000 per la costituzione di un forum e di un Difensore civico per la libertà della ricerca sembra poter dare al cittadino parametri per orientarsi. Nella speranza che i riflettori puntati in questi giorni sulla scienza e la politica della ricerca non si spengano presto e che il dibattito coinvolga tutti i ricercatori e tutte le forze politiche. A questo proposito nel questionario che gli scienziati sottoporranno ai diversi leader di partito per sondare le loro posizioni in materia di libertà di ricerca, all’ultimo posto e assommati insieme troviamo due argomenti interessanti: la ricerca sulle cellule staminali e le scienze dure (come la fisica). Forse questi argomenti, di cui nessuno scienziato non ammetterebbe l’importanza, toccano però gli interessi di lobby più importanti di quella dei cittadini-consumatori.

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