Riflettori sulla Cecenia

200 mila morti, pari al 20 per cento della popolazione. È il risultato di dieci anni di guerra in Cecenia, senza contare 300 mila profughi e le “decine di migliaia di sopravvissuti ai tristemente celebri ‘campi di filtraggio’, dopo essere stati mutilati, traumatizzati e seviziati”, secondo quanto riporta il libro “Cecenia. Nella morsa dell’impero” (Guerini e associati, 2003). “Quello che succede in questo paese si avvicina sempre più, se non lo è già, a un genocidio”, denuncia Olivier Dupuis, eurodeputato e segretario generale del Partito radicale transnazionale, in sciopero della fame dal 18 gennaio e promotore lo scorso 23 febbraio di una manifestazione che si è svolta a Roma e in altre città. Proprio a sessant’anni dalla deportazione dei ceceni in Asia centrale ordinata da Stalin, durante la quale morì un terzo della popolazione di allora, di fame, freddo e malattie.

Rilanciare il piano di pace di Maskhadov

L’obiettivo dell’iniziativa del Partito radicale transnazionale è quello di rilanciare il piano di pace proposto dal governo ceceno di Aslan Maskhadov, che prevede l’istituzione di un’amministrazione provvisoria dell’Onu, sul modello kossovaro. L’appello a sostegno del dialogo tra i governi europei, la comunità internazionale e le Nazioni Unite è stato firmato da oltre 17 mila cittadini in tutto il mondo, 146 deputati europei e 70 parlamentari italiani di tutti gli schieramenti. “Solo con la presenza delle truppe occidentali, il ritiro dei russi e il disarmo dei ceceni”, spiega Dupuis, “si può ritornare alla pace civile. Le organizzazioni internazionali, le Ong, i giornalisti e le stesse istituzioni dell’Unione devono poter tornate a circolare liberamente in Cecenia e ci vuole un intervento umanitario per l’assistenza ai rifugiati, ai bambini feriti o mutilati”.

Questa piccola regione del Caucaso, che conta oggi circa 700 mila abitanti, ha resistito a molti tentativi di sottomissione e assimilazione, dalla Russia degli Zar a quella dei democratici, passando per il periodo bolscevico. Quattro secoli di guerre e invasioni, che ne hanno decimato la popolazione. Secondo gli operatori umanitari, il conflitto del 1994 avviato dall’allora presidente russo Boris Eltsin avrebbe causato circa 100 mila morti, senza contare le torture, gli arresti arbitrari, le esecuzioni sommarie, i saccheggi, i bombardamenti contro i civili. La guerra del 1999, avviata dal presidente russo Vladimir Putin contro il terrorismo, ha visto la morte di altri 130 mila abitanti. Il tutto con il silenzio consapevole della comunità internazionale. “I nostri governanti prendono per buona l’affermazione di Putin, che dice di voler solo combattere il terrorismo in quella regione”, accusa Dupuis, “ma la Cecenia è il primo frutto avvelenato della politica accondiscendente dell’Europa nei confronti della Russia di Putin”.

Putin e le vere ragioni del conflitto in Cecenia

Ma quali interessi si muovono intorno a questo fazzoletto di terra? Non il petrolio della regione, che per la Russia rappresenta solo l’1 per cento, né il tracciato degli oleodotti, il cui percorso ormai aggira questa zona pericolosa. “La posta in gioco non è la Cecenia di per sé, essa viene utilizzata dalle varie fazioni dell’oligarchia di Mosca per acquisire potere, per dimostrare cosa succede a chi resiste agli ordini che giungono dall’alto”, spiega Dupuis. “E per tenere impegnati i generali russi che hanno tutto da guadagnarci: la Cecenia infatti è la prima fonte di traffici di armi, sigarette, alcool, esseri umani, droga”. Inoltre, sempre secondo l’eurodeputato radicale, all’interno della resistenza cecena si nasconderebbero delle componenti terroristiche minoritarie, appoggiate da alcuni ambienti del Medio Oriente o dai servizi segreti russi, che mantengono lo status quo con attentati che rafforzano le ragioni di Putin.

Riflettori accesi

Sulla questione cecena, però, si stanno lentamente accendendo i riflettori. La manifestazione davanti a Palazzo Chigi a Roma ha avuto ampie adesioni: dai Verdi a Rifondazione Comunista, dai Ds alla Margherita, dai giovani Liberali ad Amnesty International. “Il terrorismo deve essere combattuto”, ha detto Marina Sereni, responsabile esteri dei Ds, “ma non c’è lotta che possa giustificare la terra bruciata che si sta facendo in Cecenia”. “Chiediamo l’invio di osservatori internazionali e di una commissione d’inchiesta e speriamo in un ruolo più centrale dell’Unione Europea”, ha ribadito Marco Bertotto, presidente della sezione italiana di Amnesty. I parlamentari italiani che hanno presentato la mozione sulla situazione cecena e più di 200 altre persone, tra cui Adriano Sofri, hanno aderito allo sciopero della fame indetto per tre giorni a sostegno dell’iniziativa di Olivier Dupuis, che già aveva incontrato diversi esponenti politici, come il Presidente della Commissione Europea Romano Prodi: “Il fatto che il Presidente mi abbia ricevuto in un momento così pieno di impegni rappresenta grande sensibilità, ora vedremo cosa faranno i governi membri dell’Unione”.

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