Rilevatori di precisione

Fotografare gli scontri fra particelle all’interno di un acceleratore. Per questo al Centro Europeo per le Ricerche Nucleari (Cern) di Ginevra da anni i ricercatori lavorano alla realizzazione di nuovi rivelatori di altissima tecnologia. Come quelli che servono per l’esperimento Lhc (Large Hadron Collider), l’acceleratore di particelle che porta protoni e ioni a scontrarsi a temperature mai raggiunte prima, simulando così le condizioni dei momenti immediatamente successivi al Big Bang. Ora questi rivelatori sofisticati si dimostrano utili non solo per immortalare particelle subatomiche ma anche nella diagnostica, rivelando la presenza di gravi malattie, dai tumori alle patologie cardiovascolari a quelle neurologiche, praticamente al loro esordio. In particolare gli studi condotti nel grande laboratorio svizzero, a cui si è aggiunto l’apporto di alcuni studi condotti dall’Istituto nazionale di fisica nucleare, hanno consentito di migliorare l’efficacia della Pet, la tomografia ad emissione di positroni, e di consolidare l’utilizzo della mammografia digitale. La Pet è una tecnica diagnostica, non invasiva, in grado di generare immagini piuttosto dettagliate del corpo umano. Fornisce, con grande sensibilità, variazioni anche minime di parametri chimico – metabolici e funzionali. E proprio per questa sua capacità trova applicazione nella diagnosi precoce di gravi patologie. Tuttavia la Pet presenta un limite non indifferente, che gli specialisti chiamano errore di parallasse: “uno scarto sistematico nella valutazione della direzione di provenienza dei fotoni dovuto alle dimensioni finite degli elementi sensibili dello strumento”, ha spiegato Eugenio Nappi dell’Infn di Bari in occasione di un workshop internazionale svoltosi presso il Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” di Erice. Ma ora la tecnologia sviluppata nei laboratori di fisica del Cern consentirà di superare questo ostacolo. “E’ già possibile”, afferma il fisico, “produrre un nuovo dispositivo denominato Hpd (Hybrid Photon Detector), un rivelatore ibrido di fotoni, che migliorerà l’efficienza della Pet”. Il dispositivo era stato presentato già diversi anni fa dal fisico italiano Riccardo De Salvo, oggi al California Institute of Technology di Pasadena, ma la tecnologia per costruirlo e renderlo disponibile in campo medico-diagnostico è maturata soltanto negli ultimi anni grazie alla ricerca di base condotta al Cern. La Pet funziona grazie all’interazione di un positrone (elettrone con carica positiva), emesso da un atomo instabile durante il decadimento radioattivo, con i tessuti organici. “Il radio-tracciante impiegato per eseguire l’esame diagnostico”, spiega Nappi, “giunto nel punto dove il metabolismo è maggiore, per esempio in prossimità di un tessuto neoplastico, emette una coppia di positroni che, per essere ‘rivelata’, deve prima essere convertita in segnale elettrico attraverso un trasduttore. All’Infn di Bari abbiamo messo a punto proprio il materiale di conversione. La ‘lettura’ dell’esame invece è affidata alla tecnologia realizzata al Cern di Ginevra”.Un analogo dispositivo, anche questo pronto per essere prodotto su base industriale, messo a punto dal Cern di Ginevra e dall’Infn di Pisa, consentirà di migliorare la performance della mammografia digitale, una metodica di indagine ancora sperimentale. Nella mammografia digitale i raggi X che attraversano i tessuti della ghiandola mammaria non vengono impressi su una pellicola, bensì assorbiti da un dispositivo (detettore) che converte l’energia in segnali elettronici. La digitalizzazione rappresenta un salto di qualità: la nuova metodica, infatti, è molto più affidabile di quella tradizionale. “La tecnologia messa a punto”, va avanti Nappi, “consentirà, anche per la mammografia digitale, così come nella Pet, di migliorare la capacità di scoprire formazioni neoplastiche sempre di dimensioni più piccole”. Infatti, oggi uno dei grandi limiti della mammografia è proprio quello dei “falsi negativi”, quando cioè l’esame non rileva la presenza di formazioni maligne sebbene esse siano presenti, e dei “falsi positivi”, quando cioè sembra che sia accertata la presenza di formazioni maligne che poi risultano non esserlo.

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