Tutti i rischi del bypass

Arrivano dagli Stati Uniti i risultati delle ultime ricerche sugli effetti collaterali del bypass. E non si tratta purtroppo di notizie “rincuoranti”. Secondo i ricercatori del Duke University Medical Center guidati da Mark Newman, il 42 per cento dei cardiopatici sottoposti a questo intervento rischierebbe di ritrovarsi sì con un cuore sano, ma con una mente in serie difficoltà. Dopo cinque anni dall’operazione molti pazienti convivono quotidianamente con vuoti di memoria imbarazzanti, difficoltà nel pronunciare alcune parole, difficoltà con il senso dell’orientamento. Le cause di questi disagi non sono state ancora chiarite. Sembra che alcune tecniche chirurgiche siano più a rischio di altre. Per saperne di più Galileo ha intervistato Andrea Colombo, primario del reparto di Cardiochirurgia interventistica all’ospedale San Raffaele di Milano.

Professor Colombo, quali potrebbero essere le cause dei disturbi mentali legati alle operazioni cardiochirurgiche?

“La chirurgia coronarica standard è quella del bypass e prevede di mettere il paziente in circolazione extracorporea durante l’intervento. Il cuore viene fermato per trenta minuti o un’ora, il tempo necessario a fare i bypass, e poi si fa ripartire. La macchina che permette la circolazione extracorporea mentre il cuore è fermo potrebbe essere la causa di microinfarti e di microemboli capaci di raggiungere il cervello che ne verrebbe danneggiato”.

Se questi effetti collaterali venissero confermati, la tecnica del bypass verrebbe messa in discussione? Ci sono tecniche alternative?

“Cardiologi e cardiochirurghi hanno già individuato forme nuove di intervento terapeutico. I cardiologi hanno sviluppato l’angioplastica (ricostruzione o ristrutturazione di vasi sanguigni danneggiati con mezzi meno invasivi quali il laser o l’azione meccanica di un palloncino inserito nel lume vasale – ndr). I chirurghi si sono orientati verso la cosiddetta invascolarizzazione senza circolazione extracorporea: una tecnica a metà strada tra la chirurgia standard e la chirurgia cosiddetta mininvasiva. Potrebbe essere la risposta della chirurgia ai problemi sollevati dalla ricerca americana”.

Che cosa è la chirurgia mininvasiva?

“E’ un metodo adottato inizialmente per creare meno disturbi al paziente. L’operazione viene effettuata facendo solo un piccolo taglio nel torace e senza ricorrere alla circolazione extracorporea. Il pioniere italiano di questi interventi è Antonio Calafiori dell’Università di Chieti. Questa tecnica “a cuore battente” è stata poi modificata per rendere l’operazione più semplice. Si apre il torace nel modo tradizionale, ma senza fermare il cuore. Si tratta di un compromesso tra la tecnica standard e la mininvasiva. Non si usa la circolazione extracorporea ma si apre il torace in toto”.

Ci sono altri effetti collaterali legati al bypass?

“Altri effetti collaterali a distanza non ce ne sono. Naturalmente esiste la possibilità che insorgano complicazioni postoperatorie o intraoperatorie, dalle meno gravi, come infezioni della ferita, alle più gravi come l’infarto o l’ictus. Con il passare del tempo la cosa più grave che può accadere è l’occlusione del bypass. Il rischio di occlusione è dell’8 per cento ogni anno. Dopo 10 anni più dell’80 per cento dei bypass in vena sono chiusi e l’operazione deve essere ripetuta”.

La vera sfida della chirurgia quindi è quella di perfezionare le modalità di intervento. Un giorno vedremo i robot in sala operatoria?

“L’obiettivo è di effettuare sempre più operazioni senza dover arrestare il cuore. Per questo si prevede in futuro il ricorso alla robotica. Grazie al robot si potranno fare le anastomosi, ossia le giunte tra le arterie, in maniera perfetta senza dover dipendere dalla mano umana che trovandosi in condizioni difficili con il cuore che batte e in un campo operatorio piccolo, può commettere errori. In Italia già si usano le macchine a livello di protocolli di ricerca”.

Lei ha mai avuto pazienti che lamentassero disturbi mentali dopo un’operazione di bypass?

“Abbiamo avuto qualche caso eclatante. Ma si tratta di episodi aneddotici che non sono stati ancora raccolti e analizzati scientificamente. Da noi non sono mai stati raccolti dati a riguardo. I risultati americani tuttavia non ci sono sconosciuti. Newman ha in realtà confermato cose già note in letteratura integrandole con dati raccolti in modo sistematico”.

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