La storia della scoperta della doppia elica del Dna è stata scritta molte volte, e sicuramente è una storia che vale la pena raccontare. Dal chiarimento della struttura di questa molecola ha avuto inizio l’enorme sviluppo della biologia moderna. Ma c’è un lato oscuro della vicenda che spesso è sfuggito agli storici, taciuto anche nelle cronache dei protagonisti. Questa zona d’ombra è il contributo di Rosalind Franklin, una giovane cristallografa inglese.
Il suo ruolo è rimasto sconosciuto ai più fino al 1968, quando James Watson, nel suo libro “La doppia elica”, riconoscendone implicitamente i meriti la dipinse scioccamente come una donna che “sarebbe potuta essere interessante se si fosse tolta gli occhiali e avesse fatto qualcosa ai suoi capelli”. Ma è da una sua fotografia a raggi X che lo stesso Watson e Francis Crick intuirono la loro rivoluzionaria scoperta, annunciata, com’è noto, sul numero di Nature del 25 aprile 1953.
Nata in una famiglia ebrea importante, ricca e rispettata di Londra, la Franklin è stata sicuramente una scienziata molto dotata e con una carriera brillante: 37 articoli scientifici pubblicati in meno di venti anni. Non particolarmente incoraggiata da una famiglia così ingombrante, all’inizio del 1951, dopo la laurea a Cambridge, Rosalind Franklin arriva al King’s College di Londra per lavorare con Maurice Wilkins sull’allora misterioso Dna. I dissidi caratteriali tra i due sono noti e ampiamente raccontati in questo libro della Maddox, così come la lettera in cui Wilkins con sollievo annuncia a Crick che la giovane antagonista si sarebbe trasferita in un altro laboratorio: “la nostra signora oscura se ne andrà la settimana prossima” (7 marzo 1953).
Di diverso avviso era invece il direttore del Birkbeck di Londra, la sua nuova destinazione, che parlando in seguito del lavoro di Rosalind disse: “le sue fotografie a raggi X sono tra le più belle mai scattate in qualsiasi campo della ricerca”.
Ma il recentissimo e ben documentato libro di Brenda Maddox, oltre a ristabilire la verità e alcune responsabilità nella vicenda Franklin, fa luce anche sui cambiamenti che la ricerca scientifica subì durante la Seconda Guerra mondiale. La storia passa dall’epoca anteguerra in cui le studentesse non potevano ottenere una laurea a Cambridge e Oxford a quella in cui, finito il conflitto, le ricercatrici competevano a pieno titolo con i colleghi maschi per prestigio, posizioni, riconoscimento scientifico. Numerose comunque sono state le difficoltà che la giovane scienziata dovette affrontare, sia in famiglia che all’università: da piccola Rosalind venne definita da una zia come “preoccupantemente intelligente”, un commento socialmente sconveniente dal momento che le donne della posizione e della cultura dei Franklin al massimo occupavano posti di rilievo in organizzazioni filantropiche. E nell’ambiente universitario della Cambridge degli anni Venti, il giudizio dei professori di Rosalind non era molto diverso: “è molto brava, sebbene sia una donna”.
Nel 1958 la ricercatrice muore di un cancro alle ovaie, a soli 37 anni. Quattro anni dopo, nel 1962, Crick, Watson e Wilkins ottengono il premio Nobel per la medicina grazie alle loro scoperte sul Dna. Scoperte che senza l’ormai mitica “Fotografia 51” e il lavoro di Rosalind forse non avrebbero mai visto la luce con quelle modalità.
La vita di Rosalind Franklin è considerata da molti un esempio di lotta al maschilismo che domina la comunità scientifica, tanto che la ricercatrice inglese è diventata negli anni un’icona del femminismo. E davvero la Franklin non ebbe vita facile, come donna, come ebrea, come scienziata. Ma se la scienza sbaglia, la stessa scienza cerca di correggere i suoi errori: nel 1998 la National Portrait Gallery di Londra ha collocato la foto della Franklin accanto a quella dei colleghi vincitori del Nobel. E nel 2000 il King’s College l’ha onorata nominando una sua nuova ala il “Franklin-Wilkins Building”.
Brenda Maddox
Rosalind Franklin. The dark lady of Dna
Harper Collins, 2002
pp. 380, euro 31,32
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