Salute e ogm: di chi possiamo fidarci?

Forse per l’aspetto rassicurante – capelli bianchi, atteggiamento informale e sempre cordiale, sorridenti occhi celesti – o per il trasporto con cui si rivolge al pubblico, Roger Beachy è una delle persone più azzeccate per parlare da un palco di cibo geneticamente modificato. Ovviamente, lo è anche per il suo curriculum: è tra gli scienziati che, nel lontano 1986, ingegnerizzarono la prima pianta commestibile, un pomodoro, per renderla resistente a un virus. Ventitré anni dopo, quei suoi capelli bianchi lo hanno portato nelle cerchia di Barack Obama, come primo direttore dell’allora neo National Institute of Food and Agriculture, dove è rimasto fino al 2011. Ora è presidente emerito del Donald Danforth Plant Science Center, un ente di ricerca il cui motto è “ La nostra missione: migliorare la condizione umana attraverso la scienza delle piante”. 

Il palco da cui ieri Beachy ha parlato di ogm è quello di Next Trieste, il Salone Europeo dell’Innovazione e della Ricerca Scientifica organizzato dal 28 al 30 settembre in una delle città italiane più attraenti per i ricercatori di tutto il mondo, e in particolare per quelli dei paesi in via di sviluppo. Sottotitolo di questa prima edizione della kermesse: “ Save the food”. Un argomento su cui Beachy ha ragionato parecchio in questi anni. 

Roger Beachy, quando ha cominciato a lavorare sugli ogm, immaginava l’enorme dibattito che avrebbero scatenato intorno alla sicurezza alimentare, e non solo?

“No, ma mi piace. Mi piace che le persone sollevino diverse questioni, perché è così che si definiscono le domande davvero importanti, quelle che ci costringono a cercare nuove risposte. Ma da allora la mia posizione è cambiata. Venticinque anni fa difendevo e promuovevo l’ingegneria genetica, ora voglio difendere e promuovere i risultati di quella tecnologia. In questo tempo, infatti, abbiamo fatto abbastanza progressi per dire che la tecnologia non è il problema [riguardo alla sicurezza alimentare, nda]”. 

Eppure c’è ancora molta confusione. Soprattutto quando riviste scientifiche importanti pubblicano nuovi studi come quello francese di Séralini, secondo cui il mais ogm commercializzato da Monsanto con il nome di Roundup ridurrebbe le aspettative di vita e aumenterebbe l’incidenza di tumori nei ratti. Per quanto possa contenere errori metodologici, è normale che riaccenda dubbi nei consumatori.

“Gli scienziati hanno testato questo mais per molti anni e in molte generazioni di animali diversi: ratti, maiali, scimpanzé, mucche. Quando ho visto questo studio mi sono chiesto: qual è la differenza con tutti gli altri? Come ha fatto notare la comunità scientifica, e come ha ricordato lei, ci sono diversi errori metodologici, a partire dalla specie di ratto usata, Sprague-Dawley, che sviluppa naturalmente tumori dopo due anni di vita, o dal tipo di analisi statistica scelto, non più utilizzato da anni. Quando si progetta uno studio in questo modo è molto facile scegliere cosa vedere nei dati che si ottengono. Qui appare evidente il bias [difetto intrinseco, nda] quando si va a vedere chi ha finanziato questo studio o l’organizzazione: dietro ci sono aziende contrarie agli ogm, oltre che Greenpeace”. 

Ma lo stesso discorso si potrebbe fare per gli altri studi finanziati dalle multinazionali del biotech o condotti da scienziati che lavorano come consulenti per queste stesse aziende. Come facciamo a sapere di chi fidarci?

“Non è semplice, anche perché ci sono più piani che si confondono. Io lavoro e ho lavorato come consulente per grandi e piccole aziende, e il mio laboratorio lavora per le università. Questo complica le cose, è vero. Ma quando io parlo, dichiaro sempre eventuali conflitti di interesse. Volete capire se potete fidarvi di uno scienziato? Capire se è onesto nei dati che presenta? Andate a vedere il suo background e come si è comportato. Credo che il vero problema, però, sia il finanziamento degli studi, non le consulenze”. 

C’è davvero differenza se un’azienda finanzia lo studio o se ha rapporti con i singoli scienziati?

“Sì, perché lo scienziato spesso è consulente di più aziende, che magari hanno interessi contrapposti. Chiunque mi paghi, il mio lavoro di ricercatore non cambia: devo fornire dati attendibili, non promuovere un prodotto. Credo che il punto non sia se ci fidiamo o meno della scienza e degli scienziati, ma se ci fidiamo delle multinazionali. Quando si ha che fare con il cibo questa diffidenza si amplifica”. 

Non mi sembra semplice. Il cittadino, il consumatore, che non ha neanche accesso a tutte le informazioni, come ne esce?

“Se rimaniamo sul piano della sicurezza del cibo, la mia posizione è che dobbiamo fidarci delle agenzie regolatorie e dei governi, per il fatto che in tutti questi anni ci hanno sempre garantito cibo sicuro. Non importa da dove proviene, se da agricoltura tradizionale, se è biologico o se è ogm. E sulla sicurezza del processo degli ogm, organismi internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità, accademie scientifiche, enti indipendenti e decine di governi continuano a raccogliere dati. Di quante informazioni hai bisogno, quante ne richiedi ancora per prendere una decisione? Sono i politici che devono rispondere. E adesso arriviamo a un’altra riflessione. Quanta informazioni serve per produrre paura? La paura è molto più semplice da infondere della fiducia. Ci sono molti casi di studi smentiti e ritrattati, come quelli delle relazioni tra vaccinazioni e autismo, che ancora continuano a essere citati. I media, in questo caso, hanno un ruolo molto importante: devono assicurarsi che gli studi di cui parlano non abbiano bias o, in caso, portarli alla luce. Ammesso che un cittadino abbia tempo, quello che dovrebbe fare è sentire tutte le campane: leggere – faccio un esempio, non solo i blog di chi è pro ogm, di chi pro biologico, e così via, ma tutti”. 

Spostandoci dal piano della sicurezza a quello delle strategie per i paesi in via di sviluppo: crede che le biotecnologie siano davvero la risposta alle crisi alimentari che si prospettano per via dei cambiamenti climatici, o della siccità, o dell’aumento della popolazione?

“Penso che le biotecnologie possano essere molto d’aiuto, ma non devono essere viste come l’unica soluzione possibile. Mi chiede se non sia più semplice far arrivare pomodori e carote alle popolazioni con gravi problemi di nutrizione invece che sviluppare un riso che contiene il gene per la vitamina A? È una visione naif. È un discorso che va bene per me e per lei, che possiamo scegliere cosa mangiare, ma per molti popoli il cibo è di un solo tipo, ed è sinonimo di energia, non di nutrimento, non di proteine o di vitamine”. 

C’è differenza tra quello che vogliono le industrie biotech e quello che vogliono gli scienziati come lei?

“Nel caso dell’agricoltura, molti dei miei colleghi universitari e molti miei amici che lavorano nelle aziende vogliono dare un contributo alla sicurezza del cibo e della nutrizione a livello mondiale. Ne conosco molti che hanno lasciato le aziende perché queste procedono troppo lentamente o si occupano solo di alcuni tipi di colture, e non di altre strategicamente importanti per lo sviluppo economico dei paesi poveri. La responsabilità, a livello globale, è molta. Le persone entrano nelle aziende e se ne vanno per diverse ragioni, non vedo in questa contrapposizione un problema”. 

Obama e Romney hanno la stessa idea su biotecnologie e cibo?

“So che Obama ha due ministri molto favorevoli alle biotecnologie. L’agricoltura ha una grandissima importanza negli Stati Uniti e al ministro piacciono i nuovi semi e le nuove tecnologie dei semi. Non saprei dire di Mr. Romney. Dal mio punto di vista, Obama è un presidente altamente tecnologico. Però, lei sa in questo caso qual è il mio bias”.

credit: Trieste Next

via wired.it

1 commento

  1. “…nuovi studi come quello francese di Séralini, secondo cui il mais ogm commercializzato da Monsanto con il nome di Roundup…” Credo ci sia stato un salto di riga. In effetti il mais in questione, unico e solo GM autorizzato in EU, è identificato dalla sigla NK603. Mentre “Roundup” è il nome commerciale del glifosato, erbicida cui l’NK603 è resistente.
    Scusate la pignoleria.

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