Sclerosi multipla, la terapia è cellulare

Sangue, midollo, cervello. Tre fonti per le cellule che promettono di essere la cura del futuro nella sclerosi multipla. Dei limiti e delle potenzialità della terapia cellulare si parla ad Amsterdam, dove è in corso il congresso congiunto del comitato europeo e americano per il trattamento della sclerosi multipla (ECTRIMS e ACTRIMS).

“Parleremo di come i dati preclinici e alcuni dati clinici, sia nell’ambito delle cellule staminali ematopoietiche sia quelle mesenchimali, potranno essere tradotti in terapie”, spiega Gianvito Martino, neurologo, direttore della divisione di Neuroscienze dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che ad Amsterdam ha organizzato un corso di approfondimento su questi temi. “In particolare sono in grado di indurre neuro protezione, cioè di stimolare l’autoriparazione del cervello e del midollo attraverso un’azione che è basata sul rilascio di sostanze immunoprotettive, fattori trofici, antiinfiammatori e immunomodulanti. Se dieci anni fa pensavamo che le cellule staminali potessero essere usate solo per sostituire le cellule danneggiate, oggi sappiamo che le possiamo usare anche per stimolare la risposta dell’organismo ad autoripararsi”.

Proprio in questa direzione si muove il primo grande studio multicentrico che proverà a dimostrare l’efficacia di una terapia con le cellule mesenchimali, ricavate cioè dal midollo osseo. Lo ha annunciato ad Amsterdam Antonio Uccelli, ricercatore dell’Università di Genova – Dipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e Genetica, che insieme a una ventina di altri centri partirà con la sperimentazione all’inizio del 2012. L’idea, in particolare, è quella di modificare in vivo la risposta immunitaria paralizzando le cellule dendritiche e impedendo loro di interagire con i linfociti T. Le staminali mesenchimali hanno dimostrato di poter svolgere questo compito, inibendo di fatto la risposta del sistema immunitario contro la mielina. Lo studio di fase II ai nastri di partenza dovrà verificare se questo meccanismo è efficace anche nell’organismo umano.

La marcia in più delle terapie cellulari – una volta dimostrata la loro sicurezza ed efficacia – è quindi la loro capacità di stimolare l’autoriparazione. E soprattutto, a differenza dei farmaci attuali, la loro duttilità: possono modulare il tipo di molecole che vanno a produrre nell’organismo. “Producono centinaia di sostanze diverse in base al tipo di lesione, al tipo di stato, alla cronicità, alla localizzazione e così via. Il farmaco classico fa una cosa sola, ha un solo bersaglio. Invece qui il tessuto danneggiato manda dei messaggi che la cellula staminale è in grado di recepire e ai quali risponde specificamente”, ha dichiarato ancora Martino.

Se le mesenchimali sono oggetto di studio in diverse sperimentazioni, le neuronali sono molto più complicate da tradurre in farmaco, perché difficili da produrre, mentre le ematopoietiche già sono usate nelle forme più maligne e aggressive. “Non saranno la soluzione definitiva per la cura della malattia, ma saranno una possibilità da consigliare ai pazienti per il trattamento. Come la scienza vuole, queste terapie prima di essere approvate o consigliate devono essere testate. Sono test lunghi e complicati ma necessari, perché usare indiscriminatamente queste cellule vorrebbe dire mettere a rischio la vita dei pazienti e non garantire quei benefici che invece ogni terapia deve garantire», conclude Martino.

A proposito di sperimentazioni, inevitabilmente all’ECTRIMS si è parlato della CCSVI (insufficienza venosa cerebro-spinale cronica) e della sua associazione con la sclerosi multipla (vedi Galileo). Gianluigi Mancardi, primo ricercatore dello studio COSMOS, realizzato da AISM per cercare di fare luce sulla questione, ha presentato insieme a Giancarlo Comi, direttore della divisione di Neurologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, i risultati ottenuti finora: “sono stati arruolati 700 pazienti dei 2000 che consideriamo il nostro target. Pazienti con SM, con altre malattie neurologiche e sani. Tra questi sappiamo che la prevalenza della CCSVI non arriva al 10%, ma non sappiamo a chi attribuire questa percentuale”. Allo stato attuale, cioè, non è possibile dire se si tratta del 10% di tutte le popolazioni, pazienti con SM e non, o solo di una di quelle rappresentate. “Quello che ci interessa dire è che lo studio procede bene, che abbiamo coinvolto 38 centri e che quindi i risultati che avremo saranno i primi multicentrici e standardizzati. Vogliamo in questo modo dare una riposta seria alle persone con SM”, conclude Mancardi.  

1 commento

  1. Sclerosi multipla : Ogni tanto si legge o si sente qualche buona notizia a riguardo degli esperimenti fatti sui topi o altro,tutto sembra andare a buon punto,e poi non si hanno più notizie. Possibile?
    Non sarà anche in questo caso una notizia che fà sperare e poi tutto si risolve in una bolla di sapone?
    Speriamo di no

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