Salute

Sconfiggere il coma con gli ultrasuoni

Riprendersi da un coma non è certo uno scherzo, e anche nei casi più lievi può volerci molto tempo per recuperare completamente le proprie funzioni motorie e cognitive. Una nuova tecnica non invasiva però potrebbe velocizzare notevolmente il processo, grazie a un apparecchio che permette di stimolare i neuroni del talamo dei pazienti sfruttando gli ultrasuoni. È quanto sostiene un team di ricercatori della University of California di Los Angeles (Ucla), che sulle pagine della rivista Brain Stimulation ha descritto di recente il successo nella prima sperimentazione dell’apparecchio su un paziente appena uscito da un coma.

“È stato come riaccendere di colpo i neuroni, e riportarli in funzione”, racconta Martin Monti, ricercatore della Ucla che ha coordinato l’esperimento. “Fino ad oggi esisteva un unico modo per farlo, ma si tratta di un’operazione chirurgica impegnativa, che prevede di impiantare degli elettrodi direttamente all’interno del talamo. Il nostro approccio, al contrario, è completamente non invasivo”.

La procedura in questione si chiama low-intensity focused ultrasound pulsation, e sfrutta un piccolo dispositivo, non più grande di una tazzina di caffè, in grado di concentrare emissioni di ultrasuoni verso specifiche aree del cervello, con un’altissima precisione. Ad inventarla sono stati gli stessi ricercatori della Ucla (che a dirla tutta hanno anche lanciato uno spin-off per produrre il dispositivo in questione), che in questo esperimento l’hanno puntata sul talamo di un paziente con gravi lesioni cerebrali, da poco entrato in uno stato di coscienza alterato in seguito all’uscita dal coma.

La procedura è stata effettuata 10 volte, con applicazioni di 30 secondi lungo un arco temporale di 10 minuti. E i risultati, almeno a detta dei ricercatori, sono stati strabilianti. All’inizio dell’esperimento l’uomo era infatti in quello che viene definito stato minimamente cosciente, in cui sono presenti solamente segni minimi di coscienza e comprensione linguistica. Ma già a un giorno dal trattamento sono risultati evidenti importanti segnali di miglioramento, e a tre giorni dalla terapia il paziente era tornato ad avere un normale stato di coscienza e di comprensione linguistica.

Ovviamente per ora la cautela è d’obbligo, perché un solo paziente non basta per dimostrare l’efficacia del dispositivo. “Potremmo essere stati semplicemente fortunati – ammette Monti – e aver semplicemente stimolato il paziente proprio mentre si stava riprendendo da solo”. Ciononostante, i risultati ottenuti per ora sono estremamente interessanti. E se la terapia si rivelerà efficace anche su altri pazienti, i ricercatori ritengono che potrebbe candidandosi come metodo economico ed efficace per la riabilitazione degli stati minimi di coscienza, e persino per risvegliare i pazienti in stato vegetativo.

via Wired.it

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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